Sofia e il “metodo Stamina”: emozioni e razionalità a confronto

SofiaAbbiamo tutti seguito con ansia e trepidazione la vicenda di Sofia, una bambina con una malattia neurodegenerativa non curabile, dopo che se ne è occupato il seguito programma televisivo Le Iene, ospitando l’appello dei suoi genitori. Secondo loro, Sofia avrebbe tratto giovamento dalla somministrazione di cellule staminali secondo il cosiddetto “metodo Stamina” e hanno chiesto aiuto, per consentire alla figlia di proseguire le cure.

Dopo questo forte pressing mediatico (con ampia risonanza anche sui social network) e in risposta all’ingiunzione di un tribunale, in Parlamento è stato discusso un Decreto Legge dell’ex ministro della Salute Balduzzi, con cui si autorizza l’uso compassionevole della metodica, sotto forma di sperimentazione.

È il caso di ricordare che le cellule staminali, ottenute dallo stesso individuo,  sono in parte simili alle cellule embrionali, e quindi in teoria capaci di differenziarsi e trasformarsi in nuove cellule specializzate, riparando quelle “difettose”.

Ciascuno di noi ha solidarizzato con Sofia e la sua famiglia, vivendo come somma ingiustizia la prospettiva che la sua tenera vita non abbia il giusto futuro, il migliore che ciascuno di noi si aspetta per i propri figli. Ma ora, passata la fase di risposta emozionale, si può esaminare con maggior razionalità la vicenda, cominciando col ricordare i motivi per i quali il provvedimento normativo allo studio in Italia ha provocato lo sconcerto del mondo scientifico mondiale.

Il dr. Giuseppe Remuzzi, primario dell’unità operativa di Nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo ha ricordato che  «…siamo di fronte a un metodo che non è assolutamente una terapia perché non ha dato alcuna dimostrazione di efficacia; invece conosciamo benissimo i pericoli di queste cellule…». La bibbia dei ricercatori, la rivista Nature, con un editoriale, intitolato Smoke and mirrors (fumo e specchi, ndr): si tratta di «…cellule staminali adulte che si trovano in diversi tessuti, ma possono sostituire solo quei tessuti particolari…» a differenza di quelle «embrionali, che possono trasformarsi in qualsiasi tipo di cellula, ma osteggiate per motivi etici»; e ribadendo lo sconcerto espresso dagli scienziati di tutto il mondo, l’editoriale conclude ricordando che la ricerca è ancora lontana dall’aver trovato le cure: «Le staminali aiuteranno a trovare le terapie per molte malattie incurabili ma ancora siamo ben lontani da questo punto, qualunque cosa dicano i segnali di fumo». Infine Shinya Yamanakapremio Nobel per la Medicina del 2012 e specialista delle cellule staminali si rivolge direttamente autorità del nostro Paese, affinché, nello sviluppo di nuove terapie che sfruttano l’azione delle staminali, riconoscano l’importanza della supervisione regolatoria a tutela dei pazienti».

Proprio da questo punto è necessario partire, spiegando quello che spesso dimentichiamo: le regole del mondo scientifico, richiedendo prove sperimentate dell’efficacia di una terapia, servono anche e soprattutto a tutelare gli stessi malati, evitando i danni diretti della stessa terapia, o indiretti, derivanti dal non aver seguito l’alternativa più adatta (anche se la medicina agisce in scienza e coscienza e la verità scientifica è una verità fino a prova contraria).

Un altro aspetto da considerare è che la causa del contendere è la possibilità di seguire una terapia, non riconosciuta scientificamente, giovandosi della gratuità del Servizio Sanitario Nazionale. È corretto usare fondi pubblici per cure non certamente efficaci? E ancora: è giusto usare quei fondi per quella motivazione, sebbene compassionevole, ma magari non garantendo la cura di malattie rare secondo protocolli – quelli si – scientificamente approvati?

È sempre insidioso fare ragionamenti di tipo economico quando si parla di salute: si rischia di passare per cinici e insensibili. Ma è quello che ciascuno di noi fa (o dovrebbe fare) nell’economia familiare, piena di rinunce a desiderabili sollievi dalla durezza quotidiana, in nome di scelte meno gratificanti, ma più giuste, anche eticamente.

Sovviene una vicenda simile (era il 1999), quello della cura Di Bella, fonte di grandi speranze e dibattiti, anche in nome della guerra allo strapotere delle multinazionali del farmaco, ma ormai confinata nell’anonimato dell’inefficacia. Quella storia ci faccia riflettere: se una terapia è efficace, se un prodotto è vincente, sarà sicuramente l’industria farmaceutica ad adottarla, prevedendone i conseguenti profitti. In quest’ottica le regole del metodo scientifico, se applicate con rigore, aiutano a selezionare le opportunità e a limitare le distorsioni nella logica del profitto, costo da pagare – in un’economia di mercato – al necessario progresso scientifico.

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Sofia e il “metodo Stamina”: emozioni e razionalità a confronto

SofiaAbbiamo tutti seguito con ansia e trepidazione la vicenda di Sofia, una bambina con una malattia neurodegenerativa non curabile, dopo che se ne è occupato il seguito programma televisivo Le Iene, ospitando l’appello dei suoi genitori. Secondo loro, Sofia avrebbe tratto giovamento dalla somministrazione di cellule staminali secondo il cosiddetto “metodo Stamina” e hanno chiesto aiuto, per consentire alla figlia di proseguire le cure.

Dopo questo forte pressing mediatico (con ampia risonanza anche sui social network) e in risposta all’ingiunzione di un tribunale, in Parlamento è stato discusso un Decreto Legge dell’ex ministro della Salute Balduzzi, con cui si autorizza l’uso compassionevole della metodica, sotto forma di sperimentazione.

È il caso di ricordare che le cellule staminali, ottenute dallo stesso individuo,  sono in parte simili alle cellule embrionali, e quindi in teoria capaci di differenziarsi e trasformarsi in nuove cellule specializzate, riparando quelle “difettose”.

Ciascuno di noi ha solidarizzato con Sofia e la sua famiglia, vivendo come somma ingiustizia la prospettiva che la sua tenera vita non abbia il giusto futuro, il migliore che ciascuno di noi si aspetta per i propri figli. Ma ora, passata la fase di risposta emozionale, si può esaminare con maggior razionalità la vicenda, cominciando col ricordare i motivi per i quali il provvedimento normativo allo studio in Italia ha provocato lo sconcerto del mondo scientifico mondiale.

Il dr. Giuseppe Remuzzi, primario dell’unità operativa di Nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo ha ricordato che  «…siamo di fronte a un metodo che non è assolutamente una terapia perché non ha dato alcuna dimostrazione di efficacia; invece conosciamo benissimo i pericoli di queste cellule…». La bibbia dei ricercatori, la rivista Nature, con un editoriale, intitolato Smoke and mirrors (fumo e specchi, ndr): si tratta di «…cellule staminali adulte che si trovano in diversi tessuti, ma possono sostituire solo quei tessuti particolari…» a differenza di quelle «embrionali, che possono trasformarsi in qualsiasi tipo di cellula, ma osteggiate per motivi etici»; e ribadendo lo sconcerto espresso dagli scienziati di tutto il mondo, l’editoriale conclude ricordando che la ricerca è ancora lontana dall’aver trovato le cure: «Le staminali aiuteranno a trovare le terapie per molte malattie incurabili ma ancora siamo ben lontani da questo punto, qualunque cosa dicano i segnali di fumo». Infine Shinya Yamanakapremio Nobel per la Medicina del 2012 e specialista delle cellule staminali si rivolge direttamente autorità del nostro Paese, affinché, nello sviluppo di nuove terapie che sfruttano l’azione delle staminali, riconoscano l’importanza della supervisione regolatoria a tutela dei pazienti».

Proprio da questo punto è necessario partire, spiegando quello che spesso dimentichiamo: le regole del mondo scientifico, richiedendo prove sperimentate dell’efficacia di una terapia, servono anche e soprattutto a tutelare gli stessi malati, evitando i danni diretti della stessa terapia, o indiretti, derivanti dal non aver seguito l’alternativa più adatta (anche se la medicina agisce in scienza e coscienza e la verità scientifica è una verità fino a prova contraria).

Un altro aspetto da considerare è che la causa del contendere è la possibilità di seguire una terapia, non riconosciuta scientificamente, giovandosi della gratuità del Servizio Sanitario Nazionale. È corretto usare fondi pubblici per cure non certamente efficaci? E ancora: è giusto usare quei fondi per quella motivazione, sebbene compassionevole, ma magari non garantendo la cura di malattie rare secondo protocolli – quelli si – scientificamente approvati?

È sempre insidioso fare ragionamenti di tipo economico quando si parla di salute: si rischia di passare per cinici e insensibili. Ma è quello che ciascuno di noi fa (o dovrebbe fare) nell’economia familiare, piena di rinunce a desiderabili sollievi dalla durezza quotidiana, in nome di scelte meno gratificanti, ma più giuste, anche eticamente.

Sovviene una vicenda simile (era il 1999), quello della cura Di Bella, fonte di grandi speranze e dibattiti, anche in nome della guerra allo strapotere delle multinazionali del farmaco, ma ormai confinata nell’anonimato dell’inefficacia. Quella storia ci faccia riflettere: se una terapia è efficace, se un prodotto è vincente, sarà sicuramente l’industria farmaceutica ad adottarla, prevedendone i conseguenti profitti. In quest’ottica le regole del metodo scientifico, se applicate con rigore, aiutano a selezionare le opportunità e a limitare le distorsioni nella logica del profitto, costo da pagare – in un’economia di mercato – al necessario progresso scientifico.

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