Gianandrea Gavazzeni, una personalità caleidoscopica

Il 25 luglio 1909 nasce a Bergamo Gianandrea Gavazzeni, figura emblematica nel panorama della musica e della cultura del Novecento. Una personalità eclettica ed incline al dialogo con artisti e scrittori come Guttuso, Montale, Gadda e tanti altri, spesso incontrati anche in ‘cenacoli’ come “Le Giubbe Rosse” o riviste del calibro di «Solaria». Considerando che già da adolescente ama scrivere ed i suoi interessi non sono circoscritti alla musica, si può affermare che la poliedricità e la continua ricerca di affinità culturali sia nel suo DNA (dai genitori eredita più in particolare la passione per la musica e la letteratura) e non è un caso se nel 2016, a 20 anni dalla sua scomparsa, si sia tenuto un Convegno proprio per parlare delle multiformi attività del maestro.

Fin da piccolo inizia a cercare una propria collocazione anche dal punto di vista relazionale, prefiggendosi al contempo obiettivi ascrivibili allo sviluppo del pensiero creativo. L’occasione gli si presenta a dodici anni quando, a seguito dell’elezione del padre a deputato, nel 1921 la famiglia si trasferisce a Roma. Qui egli riceve la sua prima formazione (Liceo Musicale di Santa Cecilia), si avvicina alla musica del Novecento e incontra importanti personalità della cultura e della politica come De Gasperi e don Luigi Sturzo. Nel ’25 la famiglia rientra in Lombardia e il Nostro prosegue gli studi al Conservatorio di Milano diplomandosi prima in pianoforte per poi proseguire composizione con la guida di Ildebrando Pizzetti che in quegli anni ricopre anche l’incarico di direttore. Nella città lombarda ha la possibilità di frequentare il Teatro alla Scala e conoscere molti importanti compositori, direttori d’orchestra e le musiche del suo tempo.

Se da un lato questo periodo si rivela molto importante per la formazione e per gli inizi della sua professione, d’altro canto sono anni difficili dal punto di vista politico e, pur in disaccordo con i suoi principi, nel ’32 aderisce al fascismo, spinto dal padre il quale lo consiglia vivamente: «Guarda, il fascismo non si sa quando finirà. Tu devi vivere e lavorare in questo clima. Prendi la tessera perché altrimenti ti vedrai magari passare avanti l’ultimo cretino» (Sachs, 1997). Intanto, per tutto il decennio 1930-40, si dedica all’attività compositiva, con un’attenzione particolare per i canoni tradizionali, scrivendo sonate, musica da camera, concerti, opera ecc., e, nel contempo, a quella di scrittore, includendo spesso nei suoi lavori, anche nei decenni successivi, riferimenti alla sua città come testimoniano alcuni titoli: Concerto bergamasco per orchestra (1931), Notturni di bevitori bergamaschi per tenori (1938) Bergamasca per pianoforte (1942) o Donizetti (1937) o Le campane di Bergamo (1963).

Nel 1949 decide di interrompere l’attività compositiva per la percezione di ‘subire’ quella luce emanata dal suo illustre maestro: «insisteva che io facessi il compositore, prendendo una bella cantonata! La mia musica non esiste: è una diluizione del pizzettismo con inflessioni pseudopopolaresche, lombarde» (Scena e retroscena, 1994) e il suo amico Petrassi dichiara: «Con quella coscienza critica che lo distingue si è avveduto che la composizione non era nella sua natura e quanto scriveva gli appariva soprattutto un riflesso dell’esperienza di Pizzetti, di cui era stato allievo».

Nel frattempo continua a coltivare amicizie e collaborazioni con scrittori e musicisti quali Vincenzo Cardarelli, Riccardo Bacchelli, Rainer Maria Rilke, Massimo Mila, Mario Pilati, Michelangelo Abbado, Gian Francesco Malipiero e Alfredo Casella. Si intensifica la sua attività di direttore d’orchestra, iniziata nel ’33, presso importanti teatri, evidenziando il suo interesse per la grande tradizione operistica dell’800 (Verdi in primis) e del Verismo italiano. Nei primi anni Quaranta debutta alla Scala, dirigendo un repertorio vastissimo, dal Barocco fino alla musica di Musorgskij e Stravinskij, ma anche autori italiani come Puccini, Respighi, Pizzetti, concludendo con la nomina a direttore artistico nel biennio 1966-68. L’altra grande passione che lo accompagna dagli anni giovanili (immagini mutevoli del suo caleidoscopio) è la scrittura, avendo già manifestato attitudini letterarie. Se all’inizio prevale la narrativa, in seguito sono la saggistica e la diaristica ad imporsi. Dal 1936 fino a due anni prima della sua scomparsa Gavazzeni scrive una trentina di volumi ed un numero considerevole di saggi e articoli. Come dichiara nel suo libro Trent’anni di musica (Ricordi, 1958): «Urgeva la necessità di scrivere, cui era stato impedito per motivi pratici di attività musicale l’esercizio narrativo o poetico. Ecco il punto chiave, presi a scrivere in argomenti musicali e continuai perché le velleità letterarie si erano imbucate come una talpa nella terra».

Questo breve ritratto lo ricorda come un autentico homo faber al servizio della musica e della cultura. Il suo comprendere l’unicità, unitamente al saper cogliere le varie sfaccettature, costanti mutevoli della cultura, gli ha permesso di volgere lo sguardo verso il molteplice, caratteristiche non sfuggite alla storia tanto da dichiararlo un nobile eletto.

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