Riccardo Muti e Massimo Cacciari svelano l’harmonia mundi attraverso Le sette parole di Cristo

Se il termine bicinium rimanda ad una composizione contrappuntistica a due voci, nel caso del dialogo tra un grande direttore d’orchestra e un filosofo-intellettuale può configurarsi come l’incontro tra la multi e la trans disciplinarietà per avvicinarsi alle relazioni che intercorrono fra la Crocefissione di Masaccio e il Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze (Le sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce) di Joseph Haydn, opera scritta e ispirata alle sette frasi, tratte dai Vangeli, pronunciate da Cristo morente:

Pater, dimitte illis, quia nesciunt quid faciunt

(Luca 23, 34)
Amen dico tibi: hodie mecum eris in paradiso (Luca 23, 43)
Mulier, ecce filius tuus. Fili, ecce mater tua (Giovanni 19, 26-27)
Eli, Eli, lema sabacthani (Matteo 27,46; Marco 15, 34)
Sitio (Giovanni 19, 28)
Consummatum est (Giovanni 19, 30)
Pater, in manus tuas commendo spiritum meum (Luca 23, 46)

Il compositore austriaco riferisce che il lavoro nasce da una lettera d’invito del canonico di Cadice per ottemperare all’usanza, nel periodo della Quaresima, di eseguire un Oratorio. Haydn compone sette Sonate da intervallare alle meditazioni inserendosi così nel difficile contesto del rituale della morte di Cristo nel seguente ordine:

– Introduzione (Maestoso e adagio)
– Sonata I: Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt (Largo)
– Sonata II: Hodie mecum eris in Paradiso (Grave e cantabile)
– Sonata III : Mulier, ecce filius tuus (Grave)
– Sonata IV : Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Largo)
– Sonata V: Sitio (Adagio)
– Sonata VI: Consummatum est (Lento)
– Sonata VII: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum (Largo)
– Il terremoto (Presto con tutta la forza)

Di questo si parla ampiamente, con molti rimandi, in un volumetto uscito da poco per la casa editrice bolognese il Mulino dal titolo (come da copertina): Riccardo Muti, Le sette parole di Cristo. Dialogo con Massimo Cacciari all’interno della collana «Icone» il cui sottotitolo risulta molto eloquente: Pensare per immagini.

Trattasi di un lavoro che trae ispirazione, nelle intenzioni dei due coautori, dalle imagines agentes, ovvero «immagini che producono pensieri, di fronte alle quali l’emozione sensibile si trasforma in immaginazione, facoltà di porre-in-immagine, e questa a sua volta può trasformarsi in discorso». Emerge una lettura della partitura che passa dall’esegesi, dall’arte, dalla filosofia, ecc. ove il lettore può partecipare all’intreccio contrappuntistico delle due voci che, in alternatim, pongono domande ed offrono risposte, senza sottrarsi all’eterno cogito.

Ad impreziosire la conversazione non mancano riferimenti e ricordi come quando Cacciari, assistendo all’esecuzione ravennate dell’opera di Haydn diretta da Muti, riporta quelle parole del maestro («immagine della croce») rivolte al pubblico: «Adesso io vi invito tutti all’ascolto…  Vi ritroverete ciascuno con la propria vita, i propri dolori, le proprie paure, le proprie speranze, tutti uniti in Cristo; cioè, l’umanità di Cristo è l’umanità di voi che ascoltate».

Particolarmente interessante è anche il racconto del direttore d’orchestra riguardo all’esperienza percettiva della sua infanzia molfettese, unita ad una minuziosa descrizione di interessanti dettagli: «I primi suoni della mia infanzia […] sono stati i suoni della fine del carnevale; alla mezzanotte cominciava la Quaresima. In quel momento uscivano dalla chiesa in processione tre o quattro della Congregazione di Santo Stefano: gli uomini incappucciati portavano una croce enorme, nera, un’immagine di Cristo tragica, con il solo volto, seguiti da un piccolo gruppo costituito da una tromba, un ottavino […], una grancassa e un tamburo» aggiungendo la consuetudine di accompagnare le processioni del Venerdì e Sabato Santo fin dalla più giovane età.

Ritornando al “canto a due voci”, ecco il risultato interessante che viene già dichiarato, quasi una sorta di Avvertenza, nella Premessa: «A noi è parso che Masaccio e Haydn si ascoltino e si guardino in un drammatico incontro umano-divino e così diventino nella nostra conversazione un’unica immagine, dove la parola di Cristo si fa suono e senso universale che trascende l’immagine stessa, diventando pura astrazione: il suono vola oltre l’icona».

Concludo con la speranza che ognuno, grazie alla lettura del libro, possa essere attraversato dalla materia sonora e percepire quell’ «un’unica immagine», pur consapevole di potersi avvicinare soltanto a quel «Già e non ancora».

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