“Guardatelo bene: ti pende verso destra”: a San Cesario in scena Pirandello con “Uno, nessuno, centomila”

Giovedì 25 Agosto 2022. In una delle sale della Distilleria De Giorgi di San Cesario di Lecce, è andato in scena: “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello, adattamento, interpretazione e regia di Paolo Cresta, per una Produzione Gabbianella Club Casoria (Na). Lo spettacolo si è svolto in un bene protetto, testimonianza di un’archeologia industriale, che ancora oggi rappresenta, per la sua comunità e per tutto il Salento, un importante ed innovativo catalizzatore di conoscenza.

Negli ultimi anni, anche grazie al progetto “Alchimie” di Astragali Teatro, spettacoli, incontri, corsi di formazione e Summer School, hanno reso di fatto San Cesario, uno dei primi cinque Comuni più attivi della provincia di Lecce. La sala è di forma rettangolare, ha il tetto a capriate in legno, e pareti bianche, sulla destra è collocata un’antica macchina da lavoro, sulla quale vi è scritto il nome dello storico proprietario: Nicola De Giorgi. Le sedie azzurre di plastica, ordinate e incolonnate, quasi attaccate al palco, sono tutte occupate da un pubblico abbastanza eterogeneo.

Improvvisamente si spengono le luci, e il brusio, che accompagnava l’attesa, passa il testimone al silenzio. Buio… La luce, poco dopo, rivela un solo elemento d’arredo, una sedia di legno, posta al centro del piccolo palco. Poi, una luce ancora più forte illumina una botte, ricordo di un illustre passato, e ancora trionfante nella sua maestosa bellezza, posta alle spalle di quella pedana in legno, divenuta palco. L’entrata del protagonista della serata è piacevolmente sottolineata dalle note di un brano, tratto dalla colonna sonora di “Good bye Lenin” di Yann Tiersen. Ecco Paolo Cresta (attore, regista, narratore, docente di recitazione alla Bellini Teatro Factory, a Napoli, e di dizione, presso la scuola del Teatro Mercadante, Teatro Nazionale, ideatore del Progetto “Leggere” nato per avvicinare i/le ragazzi/e alla letteratura), seduto sulla sedia, di spalle. Indossa una camicia blu di lino e un paio di pantaloni di colore beige un po’ strappati, arrotolati alla caviglia, ed è scalzo. Si volta lentamente verso il pubblico, ma non lo guarda, il volto è verso il soffitto, si alza, e pare prenda con le dita un filo, che pende. Ha gli occhi sgranati e fissi e ora rivolge lo sguardo al pubblico, abbattendo la cosiddetta quarta parete, così com’era solito fare Pirandello.

Racconta come tutto è iniziato… Aveva 28 anni e quel giorno la moglie l’osservò con più attenzione. Notò tanti difetti fisici, in particolare si soffermò sul naso, e disse: “Ti pende verso destra”. Vitangelo Moscarda, questo il nome del protagonista, si siede nuovamente, e con le dita tamburella nervosamente sulle ginocchia. Poi, cambia il respiro e il tono, inizia a parlare del suo naso e del fatto che fino ad allora non se ne era mai accorto. Qualche tempo dopo, anche un suo amico confermò il difetto, così Vitangelo detto dalla moglie “Gengé”, iniziò a chiudersi nel suo studio, voleva stare da solo, senza specchi, senza sé. Era diventato pazzo? Si domandava… Sono le note di “Tiapa” del Tarkovsky quartet, che enfatizzano il momento in cui, approfittando dell’assenza della moglie, Vitangelo trova il coraggio per specchiarsi e nel vedersi, a bocca aperta, emette un gemito. “Chi è quello? Niente, nessuno, Moscarda?”.

Pirandello in una lettera autobiografica, definisce il suo ultimo romanzo, iniziato a scrivere nel 1909 e pubblicato sotto forma di romanzo a puntate nel 1925 nella Rivista La Fiera Letteraria e poi, in un volume nel 1926, “il più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista è un uomo molto complesso e sensibile, intrappolato in un tessuto sociale che ha dovuto subire e che non sente suo. Sentimenti di rabbia repressa e di smarrimento emergono, e come nella maggior parte dei casi, un semplice e banale evento, come quello del “difetto del naso che pende a destra”, è determinante per far crollare il castello. Così, l’IO percepito dal soggetto in causa e l’IO percepito dagli altri, appaiono ormai distopici. La crisi d’identità che Vitangelo Moscara attraversa, ha origini lontane. Egli è, e resterà sempre, agli occhi dei suoi compaesani, il figlio di un “usuraio” che ha fondato una banca, insieme ad altri due soci Firbo e Quantorzo, ed il suo tentativo di liberarsi di questa immagine lo porterà, dopo una serie di avventure, anche al limite del credibile, che confermano tutto l’umorismo di Pirandello (come il colpo partito accidentalmente dalla rivoltella custodita nella borsetta di Anna Rosa), a trovare pace in uno ospizio di mendicità, fatto da lui stesso costruire grazie alla vendita della banca.

Michela Mastrodonato, saggista e critica letteraria, nel suo libro: “Pirandello e l’ossessione dantesca – Uno nessuno e centomila, riscrittura allegorica della Commedia (Carocci Editore, 2021) paragona Vitangelo Moscarda a Dante, per una serie di interessanti coincidenze partendo da quelle anatomiche, che meriterebbero ulteriore approfondimento. Come pure le teorie sulla “pluralità dell’io”, dello psicologo Alfred Binet, al quale si rifà Pirandello. È il suono di un violino (Concerto n.1 di Philip Glass), a condurci per mano verso la conclusione di questo intenso ed emozionante viaggio interiore, che Paolo Cresta ha saputo costruire con meticolosità, lavorando sullo sguardo, che pare quello di un folle ma che sa catturare quello dello spettatore instillando di volta in volta quel rapporto di empatia e di abbandono all’ascolto molto difficile da creare ma che lui raggiunge anche grazie alla capacità di modulare a suo piacimento il tono della voce, dolce, rabbiosa, evocando di volta in volta nuovi scenari e paesaggi immaginari.

Vitangelo ora è in piedi, porta il palmo della mano sulla fronte, poi, si guarda intorno e solleva le braccia verso il cielo, anche il suo peregrinare è giunto alla fine: “Muoio ogni attimo, io, e rinasco, nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori”. Lunghi e scroscianti gli applausi.

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