Resurrexit, sicut dixit

E’ risorto, così come disse … 

Quello che noi oggi vediamo è che i morti non risorgono più mentre miriadi di interrogativi fondamentali continuano a moltiplicarsi, irrisolti: come affrontare la vita? Su cosa fondare le scelte? Esiste un’uscita di sicurezza per l’angoscia? Come andrà a finire?

Se è vero che l’essere cristiani è la forma più alta dell’inquietudine dello spirito, essa pure non manca di certezza: la Pasqua come fondamento della fede (1 Cor. 15), sorprendente “primavera del mondo” (S. Agostino).

Sfilano in diverse sequenze la lunga teoria dei testimoni che “videro e credettero” (Gv 20,8). Sono gli apostoli che si arrestano davanti al sepolcro vuoto non capacitandosi dell’assenza del corpo del Nazareno che tutti avevano visto crocifiggere ed esalare l’ultimo respiro. Sono le donne che, pur non credute, eccole tra le prime a riconoscere ed adorare il Risorto, aperte al dono della fede.

Gli stessi discepoli di Emmaus, quasi senza accorgersi, lo incontrano sulla strada di casa e ne hanno “il fuoco nel cuore”.  Gli undici, infine, raccontano la realtà dell’incontro che, in Galilea, sul monte, conclude l’annuncio della predicazione messianica.

Il Dio del Vangelo frequenta volentieri i poveri, gli ignoranti, i disprezzati e, quando si manifesta, non lo fa ai professori, ai banchieri né, tantomeno, ai giornalisti.

Le apparizioni post mortem, sono fondamentali, qualcosa di più rilevante di una rassicurazione sulla vittoria del Messia sulla morte: spingono all’annuncio. È questo, in definitiva, il contenuto della fede pasquale: l’amore è più forte della morte; quel Gesù, il figlio del falegname di Nazareth, vuole che l’uomo viva. 
Lo stesso San Luca, negli Atti degli Apostoli (3,20), ci ricorda che la risurrezione è una promessa di Dio proprio in forza della risurrezione del suo Figlio unigenito.

Dio rivela il suo vero volto: è il Dio che crea gli uomini morti, per farne dei viventi, contro ogni speranza (ci dice San Paolo nella lettera ai Romani). Non è un Dio inventato dall’angoscia degli uomini.

“Per trovare Dio, bisogna essere felici  – scriveva Rilke – perché coloro che inventano il suo nome per l’angoscia, sono troppo impazienti e cercano troppo poco l’intimità della sua assenza ardente”.

La sua vicinanza, certo, si è fatta più impalpabile; l’apparenza della Sua presenza si è sottratta senza che divenga distacco. Ormai, per il dono dello Spirito, Egli è là dove l’uomo è e sarà, dove gioca il suo destino. L’uomo non può immaginare sino a dove si sbilanci la solidarietà di Dio per essergli prossimo.

La Domenica, è il giorno della presenza più intensa. Nella Parola e nel Sacramento, nonostante i dubbi e le tristezze, si apre una via perché la comunità, come il discepolo che Lui amava, possa dire, trasalendo: “È il Signore”.

Auguri di Buona Pasqua.

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