Si stava meglio quando si stava peggio ?

CarroIl piccolo paese di Novoli, come del resto tutte le altre parti del mondo, ha vissuto, vive e vivrà delle trasformazioni non solo dal punto di vista urbanistico (anche se queste sono ben poche ) ma proprio dal punto di vista sociale.

Sembra un tempo lontano quello in cui per strada si muovevano i carri trainati dai cavalli, quando la TV non esisteva e la radio era un benessere; quel tempo dove i valori erano diversi e c’è chi dice che forse si stava meglio quando si stava peggio; quei giorni in cui chi ha vissuto questi anni e queste storie, con un pizzico di nostalgia, è pronto a rammentarle.

Mia nonna Lucrezia mi raccontava come sin da bambina si dedicava al lavoro in casa assistendo la madre e come la scuola fosse per lei un impegno ma anche uno svago: era divertente fare ginnastica il giovedì e il sabato con il professore Ramondini o giocare con la palla alla ricreazione alle 10  nel cortile della scuola elementare ancora ad un solo piano appena inaugurata in Via Dei Caduti, o esibirsi nei saggi all’interno dei locali scolastici di Piazza Regina Margherita, indossando una gonna blu e una camicia bianca. Per lei l’unico momento di svago sono state le domeniche mattina quando si recava in Chiesa per la Messa. Questo e nient’altro, perché la famiglia aveva un posto di prim’ordine tanto che aveva dovuto lasciare la scuola dopo la Quinta elementare. Ma quando si apprestava a parlare delle feste patronali i suoi occhi si illuminavano al ricordo di quelle giornate e immediatamente esprimeva il suo dissenso verso il modo di noi novolesi di vivere queste festività oggi: “La festa era più grande” diceva subito, ma non facendo riferimento strettamente all’aspetto civile (mio nonno Salvatore ricorda ancora bene come le luminarie arrivavano sino alla fine di Via San Paolo e si  estendevano nelle vie del paese), ma all’aspetto religioso: le offerte al comitato erano più laute e non perché circolava più denaro, ma perché la festa, la devozione era più sentita; la gente – ricorda ancora Lucrezia – veniva a piedi persino da Brindisi o da Santa Maria di Leuca con la schiena curva per la stanchezza e giungeva per fare un voto o una preghiera a Sant’Antonio oppure alla Madonna di Novoli.

“Se stia meju prima” insomma, e me lo ripete anche la signora Maria Maddalena che conserva tanti bei aneddoti della sua infanzia, principalmente ricollegati proprio alle feste patronali. Ricorda con felicità il momento in cui, dopo le celebrazioni, le regalavano i mazzi dei fiori utilizzati per le processioni o quando si divertiva durante le feste, che duravano fino all’alba, indossando delle scarpe di qualche numero più grandi. In passato la festa era più sentita – afferma anche Maddalena – c’era più devozione ed erano straordinarie le luminarie e la banda. E dopo la festa della Madonna, la terza domenica di Luglio, il martedì successivo andava con i suoi sette fratelli al mare con il carro e il cavallo; l’unico giorno di svago di cui disponeva perché non aveva amiche essendo impegnata nel lavoro. E proprio per questo non è stata mai a scuola; da quando aveva avuto otto anni affiancava il padre in campagna per poi andare a lavorare, dopo i 16 anni, in fabbrica il cui orario andava dalle 7 alle 12 e poi dalle 13 alle 16. In casa erano quattordici tra figli, zii e nonni e la domenica mattina la messa era insieme alla madre.

Questa vita descrittaci appare, evidentemente, diversa da quella attuale ma per certi aspetti si è mantenuta identica: Lucrezia, per esempio, parlando della scuola mi raccontava di quando lei faceva copiare i propri compiti al suo compagno di banco e poi la maestra lo veniva a sapere; e ancora, Maria Maddalena ricorda le sue scappatelle per stare insieme al fidanzato. Questo, però, di certo non basta a dire che i cambiamenti avvenuti siano stati di poco valore.

Insomma, forse hanno ragione i nostri nonni a dire che “prima era mutu meju, moi tinimu lu pane e stamu binchiati!”. 

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