Sapori di festa

Negli ultimi mesi (qualcuno, di peggiore umore, potrebbe dire negli ultimi anni) non si sono presentate a noi italiani soverchie occasioni di compiacimento per il privilegio di essere nati in questo Paese. E sarebbe, in sé, male di poco a considerare che troppo spesso gli orgogli nazionali si sono confusi e male intesi con patriottismi, campanilismi ed altre pericolose sciocchezze.

C’è, però, un sentimento più raro e, questo si, nobile, che riguarda l’ultimo piacere di trovarsi a far parte di una comunità che si riconosce nelle stesse radici, nella stessa memoria, nello stesso sentire collettivo.

Quel sentimento, per dirne una, che quando un giornale ci ragguaglia nella pagina sulla cattura ed assassinio del tiranno libico o sull’esecuzione di un paralitico in Virginia, ci fa pensare con civile soddisfazione che, in Italia, dove pure si ruba, si imbroglia e si uccide, non abbiamo dittatori allo sbaraglio o la pena di morte di Stato; a dispetto di taluni uomini della brutta politica che, ogni tanto, approfittando di dolori e sdegni suscitati dai crimini più efferati, tornano a proporla; e a dispetto di certi sondaggi, chissà come condotti, dai quali risulterebbe che buona parte degli italiani è favorevole alla reintroduzione della pena capitale nei nostri codici.

A parte queste consolazioni da confronto con arretratezze di altri paesi e qualcun’altra da vittoria sportiva, quel sentimento di collettiva fierezza può manifestarsi anche di fronte ad eventi che fanno parte, ormai, della storia perché ogni grande e rilevante momento della storia del mondo è il trionfo di qualche entusiasmo.

Assistere ai riti sacri che, dentro e fuori le chiese, richiamano in massa “vicini” e “lontani” parlando il linguaggio di una fede antica e radicata che trova, finalmente, il modo di esprimersi in una religiosità di popolo, capace di sciogliere le solennità delle cattedre ecclesiali nella semplicità di gesti e parole di preghiera e di lode. Guardare il lancio di palloni aerostatici variamente forgiati e vivacemente colorati che, dapprima incerti e traballanti e poi sempre più sicuri e determinati, si levano in alto per andare laddove li porta il vento e diventare punti luminosi sempre più piccoli fino a perdersi nel cielo notturno. Camminare senza mete precise per le vie del centro cittadino tra interminabili file di bancarelle dove si vendono le cose di sempre con qualche novità enfaticamente reclamizzata per suscitare incuriosite attenzioni.

E poi, le luminarie, le musiche, i fuochi di artificio, i saluti mormorati o gridati, gli occhi ed i volti di tanta gente nota che si incrociano, le espressioni dialettali, le battute di sagace ironia, gli odori ed i sapori della nostra terra, di questo Salento, di questo lembo del Sud dove la solitudine non è mai isolamento ma riserbo dentro l’eterna vocazione all’accoglienza, dove il silenzio si riempie di riflessione e si scioglie nel dialogo, dove il parente ed il vicino di casa sono sempre “prossimo” e non fanno morire i vecchi per il troppo caldo e l’abbandono, dove le povertà si coprono sempre di dignità e le domande di riscatto rifuggono dalla violenza, dove la frastornante allegria fa spazio alla gioia serena, dove la pace è un valore assoluto a dispetto di tutte le guerre. Questo Salento dove ci sono certo crimini, mafie ed offese alla dignità dell’uomo ma ci sono come mali trapiantati da sfruttamenti storici e da erronee politiche, come corpi estranei sempre più attaccati da crisi crescenti di salutare rigetto.

E sì, a Novoli, la festa de “Sant’Antoni te lu fuecu” e le molte feste patronali celebrate durante l’anno nei tanti centri salentini e pugliesi ci fanno forse riscoprire la robusta pianta di una civiltà dalle profonde radici e dalle fruttuose ramificazioni: una civiltà di sane tradizioni, di positive inclinazioni, di idee e di sentimenti tutti centrati sul grande valore della solidarietà; una cultura che rifiuta appiattimenti globalizzanti senza però chiudersi alla modernità ma ad essa aprendosi per ricevere e per dare, per fare proprie le tante conquiste di questa modernità e per offrirle quel “supplemento” di anima e di cuore di cui ha grande bisogno. Un “supplemento” che il Salento può dare alla tecnologica, frenetica e talvolta disumanizzante modernità che pervade l’intero pianeta.

Un sogno impossibile? Un’ambizione oltre ogni buon senso?

Può darsi… ! Uno spirito religioso, però, di recente ci ha ricordato che la luce, per debole che sia, vale più di tutte le tenebre messe insieme, perché basta un fiammifero acceso per esorcizzare tutta l’oscurità di una stanza e mostrare l’uscita.

“Volate palloncini/ vi chiamano le stelle/ le fulgide sorelle/ vi attendono lassù/ il vostro volo in alto/ unisce sguardi e cuori/ spegne lotte e rancori/ dice fraternità”: questi semplici e poveri versi tratti da un testo scolastico mi tornano alla mente in questi giorni di festa e, chissà perché, mi viene di citarli a conclusione di questi pensieri.

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Sapori di festa

Negli ultimi mesi (qualcuno, di peggiore umore, potrebbe dire negli ultimi anni) non si sono presentate a noi italiani soverchie occasioni di compiacimento per il privilegio di essere nati in questo Paese. E sarebbe, in sé, male di poco a considerare che troppo spesso gli orgogli nazionali si sono confusi e male intesi con patriottismi, campanilismi ed altre pericolose sciocchezze.

C’è, però, un sentimento più raro e, questo si, nobile, che riguarda l’ultimo piacere di trovarsi a far parte di una comunità che si riconosce nelle stesse radici, nella stessa memoria, nello stesso sentire collettivo.

Quel sentimento, per dirne una, che quando un giornale ci ragguaglia nella pagina sulla cattura ed assassinio del tiranno libico o sull’esecuzione di un paralitico in Virginia, ci fa pensare con civile soddisfazione che, in Italia, dove pure si ruba, si imbroglia e si uccide, non abbiamo dittatori allo sbaraglio o la pena di morte di Stato; a dispetto di taluni uomini della brutta politica che, ogni tanto, approfittando di dolori e sdegni suscitati dai crimini più efferati, tornano a proporla; e a dispetto di certi sondaggi, chissà come condotti, dai quali risulterebbe che buona parte degli italiani è favorevole alla reintroduzione della pena capitale nei nostri codici.

A parte queste consolazioni da confronto con arretratezze di altri paesi e qualcun’altra da vittoria sportiva, quel sentimento di collettiva fierezza può manifestarsi anche di fronte ad eventi che fanno parte, ormai, della storia perché ogni grande e rilevante momento della storia del mondo è il trionfo di qualche entusiasmo.

Assistere ai riti sacri che, dentro e fuori le chiese, richiamano in massa “vicini” e “lontani” parlando il linguaggio di una fede antica e radicata che trova, finalmente, il modo di esprimersi in una religiosità di popolo, capace di sciogliere le solennità delle cattedre ecclesiali nella semplicità di gesti e parole di preghiera e di lode. Guardare il lancio di palloni aerostatici variamente forgiati e vivacemente colorati che, dapprima incerti e traballanti e poi sempre più sicuri e determinati, si levano in alto per andare laddove li porta il vento e diventare punti luminosi sempre più piccoli fino a perdersi nel cielo notturno. Camminare senza mete precise per le vie del centro cittadino tra interminabili file di bancarelle dove si vendono le cose di sempre con qualche novità enfaticamente reclamizzata per suscitare incuriosite attenzioni.

E poi, le luminarie, le musiche, i fuochi di artificio, i saluti mormorati o gridati, gli occhi ed i volti di tanta gente nota che si incrociano, le espressioni dialettali, le battute di sagace ironia, gli odori ed i sapori della nostra terra, di questo Salento, di questo lembo del Sud dove la solitudine non è mai isolamento ma riserbo dentro l’eterna vocazione all’accoglienza, dove il silenzio si riempie di riflessione e si scioglie nel dialogo, dove il parente ed il vicino di casa sono sempre “prossimo” e non fanno morire i vecchi per il troppo caldo e l’abbandono, dove le povertà si coprono sempre di dignità e le domande di riscatto rifuggono dalla violenza, dove la frastornante allegria fa spazio alla gioia serena, dove la pace è un valore assoluto a dispetto di tutte le guerre. Questo Salento dove ci sono certo crimini, mafie ed offese alla dignità dell’uomo ma ci sono come mali trapiantati da sfruttamenti storici e da erronee politiche, come corpi estranei sempre più attaccati da crisi crescenti di salutare rigetto.

E sì, a Novoli, la festa de “Sant’Antoni te lu fuecu” e le molte feste patronali celebrate durante l’anno nei tanti centri salentini e pugliesi ci fanno forse riscoprire la robusta pianta di una civiltà dalle profonde radici e dalle fruttuose ramificazioni: una civiltà di sane tradizioni, di positive inclinazioni, di idee e di sentimenti tutti centrati sul grande valore della solidarietà; una cultura che rifiuta appiattimenti globalizzanti senza però chiudersi alla modernità ma ad essa aprendosi per ricevere e per dare, per fare proprie le tante conquiste di questa modernità e per offrirle quel “supplemento” di anima e di cuore di cui ha grande bisogno. Un “supplemento” che il Salento può dare alla tecnologica, frenetica e talvolta disumanizzante modernità che pervade l’intero pianeta.

Un sogno impossibile? Un’ambizione oltre ogni buon senso?

Può darsi… ! Uno spirito religioso, però, di recente ci ha ricordato che la luce, per debole che sia, vale più di tutte le tenebre messe insieme, perché basta un fiammifero acceso per esorcizzare tutta l’oscurità di una stanza e mostrare l’uscita.

“Volate palloncini/ vi chiamano le stelle/ le fulgide sorelle/ vi attendono lassù/ il vostro volo in alto/ unisce sguardi e cuori/ spegne lotte e rancori/ dice fraternità”: questi semplici e poveri versi tratti da un testo scolastico mi tornano alla mente in questi giorni di festa e, chissà perché, mi viene di citarli a conclusione di questi pensieri.

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