La Traviata: quando la pittura ispira e crea colleganze con l’opera lirica

La recente messa in scena de La Traviata di Giuseppe Verdi a Lecce (20 agosto), con la regia di Katia Ricciarelli (ormai salentina d’adozione: ricordiamo che dal 1998 al 2003 ha ricoperto il ruolo di direttrice artistica della stagione lirica della Provincia di Lecce), richiama alla memoria la rappresentazione della stessa con Hugo de Ana – curatore dei costumi, della scenografia e della stessa regia – al Petruzzelli di Bari, a chiusura della Stagione d’Opera e Balletto 2018.

La particolarità dell’edizione barese ha presentato un aspetto molto interessante in quanto il contenuto dell’opera è stato espresso anche attraverso tre dipinti di un artista originario di Barletta, Giuseppe De Nittis (1846-1884), il quale ha saputo stare accanto ai grandi impressionisti della Parigi fin de siècle.

Grazie alla collaborazione tra il Petruzzelli e la Pinacoteca De Nittis di Barletta, durante il periodo delle rappresentazioni dell’opera i tre dipinti dell’artista sono stati ammirati e apprezzati presso il foyer del teatro (19-30 dicembre).

L’evento può esser letto anche come una sorta di visione narcisistica a specchio ove più linguaggi artistici (comprese le tele di De Nittis) si riflettono tra loro. Il pubblico presente ricorderà almeno la forma degli abiti ispirati all’impressionismo e ripresi dallo stesso pittore.

Le opere esposte sono state: Figura di Donna, Il Salotto della Principessa Matilde e Giornata d’inverno. In questa occasione presentiamo la seconda poiché si caratterizza per la diversità dalla produzione en plein air del maestro di Barletta. In questo dipinto vi è un salotto parigino che ricorda la scena iniziale dell’opera verdiana che si svolge nel salotto di Violetta, ove sfarzo e raffinatezza sembrano essere la stessa faccia della medaglia.

 

Ecco, in una sorta di galleria, Marie Duplessis (al secolo Alphonsine Rose Plessis), ritratta da Camille Roqueplan ed ispiratrice del romanzo La dame aux camélias di Dumas figlio, opera che attraverso la rielaborazione di Francesco Maria Piave diventa il libretto dell’opera in tre atti di Giuseppe Verdi (prima rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia (6 marzo, 1853).

In conclusione, propongo una delle più famose pagine dell’opera dove l’inno all’amore di Alfredo ‘dialoga’ con l’inno alla spensieratezza di Violetta.

Nel salotto di Violetta Valéry (I atto) tra i vari invitati aristocratici c’è Alfredo Germont, introdottosi alla festa, grazie all’amico Gastone, al fine di conoscere la ragazza, di cui è segretamente innamorato, con l’intenzione di dichiararle il suo amore (Un dì, felice, eterea). La dichiarazione porta ad un impeto maggiore (Di quell’amor ch’è palpito che, reiterato in seguito, assurge ad emblema del loro amore). Pur di fronte ad un atteggiamento di ritrosia da parte della ragazza, Alfredo persevera nel suo inno d’amore (Croce e delizia al cor). In un momento in cui Violetta è sola medita sull’intrusione di Alfredo nella sua vita, ipotizzando che forse si tratta dell’uomo sempre desiderato (Ah, fors’è lui) ma poi, quasi svegliata dal sogno (Follie!… Follie!… Delirio vano è questo), ci ripensa.

https://www.youtube.com/watch?v=QnKuht1ST-I

L’ascolto inizia da questo punto per portarsi alla “cabaletta” Sempre libera degg’io (scena V) ove la ragazza, avvertendo il suo amore per Alfredo, è costretta a sopprimere il suo sentimento, consapevole dell’incompatibilità con il suo essere cortigiana. Nonostante l’intervento di Alfredo che canta Di quell’Amor ch’è palpito dell’universo intero, Violetta – almeno per ora – rispondendo con un inno alla spensieratezza è determinata a restare «sempre libera». Qui, il canto di Violetta, soprattutto nel registro acuto e nei suoi rapidi passaggi, suggerisce vitalità e allegria, senza dimenticare che in nuce possiede anche quel fuoco dell’amore, unico capace di scardinare quella morale borghese che l’ha resa eroina perseguitata, topos letterario che risale ai tempi della classicità.

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