La bellezza salverà la musica sacra

La cronaca delle ultime settimane racconta episodi di cui è protagonista la musica classica nelle chiese cattoliche del nostro paese che, se da un lato suscitano polemiche anche da parte di voci molto autorevoli, dall’altro sollecitano una riflessione sulla musica sacra.

Se a Pistoia un parroco a fine messa intona con i fedeli il canto partigiano O bella ciao è ben comprensibile che vi sia un motivo ideologico come è accaduto a Luigi Nono inserendo alcuni elementi strutturali di Bandiera rossa nell’Epitaffio per Garcia Lorca, eseguito a Darmstadt nel 1952, in piena guerra fredda.

A Firenze il priore della Basilica di Santa Croce vieta di far eseguire il Requiem e l’Ave Verum di Mozart in occasione del 228esimo anniversario della scomparsa del compositore salisburghese tanto da far indignare il maestro Muti e farlo ritornare, ancora una volta, sul refrain delle ‘schitarrate’ in chiesa.

Cosa si può dire sui fedeli i quali si trovano ad assistere alla messa, soprattutto fuori della loro parrocchia, senza poter partecipare con il canto? Il risultato, nelle migliori ipotesi, è quello di assistere come spettatori, similmente ad un concerto. E non regge la giustificazione della presenza del libriccino dei canti, quasi sempre ed unicamente con le sole parole senza musica, perché per intonare un qualsiasi brano, almeno che non lo si conosca a memoria, c’è bisogno del testo musicale. Allora mi domando: dove sono i frutti della riforma ceciliana che, tra l’altro, prevedeva la reintroduzione del canto gregoriano e della polifonia del ‘500, intesi come reazione alla tendenza abbastanza diffusa di favorire i repertori allora più popolari del melodramma e, più in particolare, la partecipazione attiva dei fedeli attraverso il canto durante la liturgia?  A pensarci bene, purtroppo, i repertori quanto lo stesso rapporto musica – liturgia non sempre sono corretti e talvolta risultano contraddittori.

Pur essendo trascorsi diversi anni, ricordo ancora un episodio raccapricciante, quando mi trovavo ad assistere ad un concerto in una chiesa, alla presenza di vari sacerdoti e del vescovo, dell’esecuzione del Gloria di Vivaldi. Qualcuno potrebbe chiedersi perché tanto sconcerto, considerando che si tratta di una delle pagine più famose di musica sacra?  L’evento non fu realizzato il giorno di Pasqua o in altra festività ma la sera del Venerdì Santo, giorno di lutto e commemorazione della passione e della crocefissione di Cristo. Eppure, per non oltraggiare liturgicamente quell’evento, bastava attingere alle varie trasposizioni musicali, anche dello stesso periodo del prete rosso, delle varie passioni in forma di oratorio. Pur essendo un convinto assertore che in questo genere di musica ci sia bisogno di costruire ponti e di aprirsi al mondo globalizzato in continua trasformazione, allo stesso tempo si costruiscano legami sicuri affinché reggano il traghettamento a  nuove musiche ed idee a condizione che ognuno, secondo le proprie competenze, si stacchi dalle proprie certezze ideologiche e accolga i vari contributi provenienti dal mondo laico e, probabilmente, recuperare il monito verdiano «torniamo all’antico e sarà un progresso», inteso come riappropriazione della grande tradizione.

Una lodevole iniziativa è stata intrapresa da Ezio Monti, nel paesino di Corniolo, vicino Santa Sofia, in provincia di Forlì-Cesena, pur trovandosi in pensione dall’attività didattica in Conservatorio riesce a trovare lo spirito giusto per insegnare a bambini e adulti il canto gregoriano.

Va ricordato che il maestro, musicista eclettico (compositore, direttore d’orchestra, di coro e pianista), è sempre molto attivo nel campo della musica sacra tanto che, tra le diverse esperienze, ha diretto sue composizioni sacre in Sala Nervi, tra cui vale la pena menzionare un’esecuzione alla presenza di Giovanni Paolo II.

Monti, con questo ritorno al gregoriano, sembra volersi ispirare al rondeau Ma fin est mon commencement. Et mon commencement ma fin di Guillaume de Machaut, considerando che egli stesso, da bambino, ha iniziato la sua educazione alla musica proprio attraverso questo genere di repertorio, grazie ad un certo Piombini, un maestro laico fiorentino. Ancora una volta riaffiora l’esigenza di un’educazione alla bellezza senza tempo, pur convinti del suo essere radicata nell’antico, in questo caso può anche essere occasione per avvicinarsi alla porta del paradiso.

1 comments
  1. Non importa il genere o il luogo. Non importa il timbro o l’impostazione. Professionisti o dilettanti. Il maestro Monti questo ci ha insegnato: “Cantate con il cuore e ricordate sempre che non si canta per cercare di essere felici.. si è felici perché si canta”.

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