A 102 anni dalla nascita di Beppe Fenoglio, “Un giorno di fuoco”, in scena ai Koreja di Lecce

È con la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico ed importante, che sabato 24 febbraio 2024 esco dal Teatro Koreja di Lecce, dopo “Un giorno di fuoco” di Beppe Fenoglio, con Beppe Rosso, regia di Gabriele Vacis, scene e luci Lucio DianaAma Factory.

Con questo spettacolo si è inteso celebrare il centenario, per l’esattezza i 102 anni dalla nascita di Beppe, all’anagrafe Giuseppe Fenoglio, nato ad Alba il 1° marzo 1922, scrittore, traduttore italiano e partigiano, che nelle sue opere racconta il mondo rurale e il movimento di Resistenza italiana. Ricordiamo che fu arruolato nel ’43 e nel gennaio del ’44 si unì ai partigiani, prima ai rossi, quelli delle Brigate Garibaldi e poi passò con gli “autonomi” o badogliani. Per la scrittura di “Un giorno di fuoco” fu stimolato dall’amico Calvino che lo convinse a continuare a lavorare sulla raccolta “Racconti del Parentado”, legati ai ricordi dell’infanzia trascorsa con i parenti. Il libro, uscito per Einaudi, fu sospeso per un motivo di diritti e poi pubblicato nei Racconti Moderni Garzanti insieme a “Una questione privata” e altri dodici racconti, nell’aprile del’63 a due mesi dalla sua morte. Beppe Fenoglio che è tra i più importanti narratori della Resistenza ha la peculiarità di descrivere eroi positivi, nessuno dei quali muore per un’ideologia politica, caratteristica questa che lo distingue dal neorealismo, perché per lui, la Resistenza fu una “prova della vitalità e dignità umana”. Criticato, da Elio Vittorini per il suo “provincialismo”, Beppe Fenoglio considerava la terra come “la vera patria del partigiano”. Anche in “Un giorno di fuoco”, il racconto che dà il nome all’opera, che vede lo stesso Fenoglio bambino, testimone indiretto nel ’33 di un tragico episodio di sangue avvenuto a Gorzegno in Valle Bormida, mentre era in vacanza da parenti a San Benedetto Belbo, si narrano in maniera minuziosa e descrittiva luoghi e persone e si denunciano, senza troppe omissioni casi di mal gestione del territorio.

L’assenza della quarta parete, rivela subito la presenza di sette grandi pietre, sei delle quali “sospese” a varia altezza da terra, grazie ad un filo, ed una posta un po’ più in fondo al centro del palcoscenico; la luce rossa che le illumina esalta la drammaticità del racconto che sta per iniziare. Pietre che la zia di Fenoglio cita quando descrive il cielo di Gorzegno: “Sembrava un lago dove fossero finalmente finiti i cerchi provocati dai tonfi di migliaia di pietre”.  Beppe Rosso, attore, autore, regista, direttore artistico e docente di corsi di formazione, è l’unico protagonista in scena, ma non l’unico del racconto; camicia grigia, pantalone beige e scarpe da ginnastica, seppur di forte presenza fisica, scompare, e al suo posto, grazie alle sue capacità interpretative e vocali, di volta in volta vediamo il piccolo Beppe, suo zio e sua zia, oltre a tanti altri personaggi, di cui narrerà le vicende. Appare sulle note finali di una melodia e si pone al centro del proscenio, ha lo sguardo diretto al pubblico, e il suo racconto, “il grande fatto” accaduto prima della guerra in Abissinia, è ben ritmato. “Li ha uccisi tutti” dice lo zio. Inizia così la storia di Gallesio, un uomo solitario e sfruttato dal fratello a cui deve dei soldi, che per risanare il suo debito aveva in mente di sposare una ricca donna del paese, poi dissuasa dal parroco, perché quei soldi li voleva per sé e per la sua chiesa; così, disperato, Gallesio era impazzito, e aveva sparato al fratello, al nipote, al parroco ed un carabiniere intervenuto subito dopo, e infine, concludeva la sua rocambolesca fuga, ponendo fine, con uno sparo, anche alla sua vita.

Il regista di questo spettacolo è Gabriele Vacis, anche drammaturgo, sceneggiatore e documentarista (ricordiamo che nel 1982 insieme ad un gruppo di amici e amiche, tra i quali Laura Curino, fonda Teatro Settimo che dal 2002 è il Teatro Stabile di Torino e di cui ne diviene Regista Teatrale. È creatore del “Teatro di Narrazione”, e del “Teatro Compositivo”. Dal 2008 dirige il Progetto TAM – Teatro e Arti Multimediali con il Palestinian National Theatre a Gerusalemme e il progetto “La Paura Sicura” che coniuga teatro, cinema e nuovi media), che pur con quei sette elementi, crea una visione d’insieme, permettendo allo spettatore di immaginare i luoghi dove si svolgono gli eventi e trascinandolo in un preciso spazio temporale del racconto, grazie al semplice e complesso movimento delle pietre, spinte dalle mani di Rosso secondo una precisa coreografia sostenuta di volta in volta da un differente tappeto sonoro. “Gallesio non farebbe un’oncia di male” dice lo zio, mentre Beppe si sofferma a guardare i lati della bocca ingialliti dal fumo del tabacco arrabbiato perché vorrebbe andare anche lui in paese a cercarlo, ma la moglie non glielo permette. E intanto s’intrecciano i racconti di tanti personaggi, Placido, Scolastica, la graziosa peste Marcelle. Ma perché Gallesio aveva sparato a tutti? Lo zio li apostrofava come “I torti dell’interesse” e mentre spacca la legna spiega il perché si fosse tanto indebitato con il fratello. La zia invece, lo definiva “Il folle di Gorzegno” perché Gallesio aveva ammazzato anche un carabiniere originario di Napoli, glielo aveva detto Remo e poi con aria burbera dice allo zio di andare a tagliarsi la barba prima di pranzo. Lo zio, tra un’imprecazione e l’altra, racconta di Gorzegno dove andava a comprare il vino, un paese diviso in due. Una delle particolarità di Beppe Fenoglio era quella di rendere il paesaggio delle Langhe sempre coprotagonista dei suoi racconti. Infatti, con un lapidario giudizio sottolineava l’avvelenamento del Bormida, e scriveva: “L’acqua color sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più sporca e avvelenata che ti mette freddo”. I racconti e i ricordi che si snocciolano, si accavallano agli spari che giungono dalla valle e cresce quel senso di ammirazione per quell’uomo solo, che resiste ancora e che desisterà dal farsi prendere o dal consegnarsi spontaneamente, perché a quel tormento esistenziale porrà fine ancora una volta da solo, uccidendosi. Tutto improvvisamente si placa, il chiacchiericcio, i rumori, gli spari e a riecheggiare sono le parole della zia già pronta per andare in chiesa a pregare perché “Tutto il male che capita su queste Langhe è causato dalla forte ignoranza”.

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