Primo Papa statunitense, ha quasi 70 anni. Ha scelto il nome di Leone XIV. Già prefetto del Dicastero per i vescovi, è stato eletto alle 18.07, è il 267° Papa della storia

Anch’egli uomo venuto da lontano, nato negli Stati Uniti d’America. Un segno dei tempi, potremmo ben dire: quel nome, Leone, non rappresenta soltanto una scelta simbolica (oltre che obbligata dal protocollo) ma anche un richiamo storico e visionario. Ricordiamo infatti l’ultimo papa, Leone XIII che, con la sua enciclica Rerum Novarum, volle a suo modo riconciliare cristianità e modernità parlando di giustizia sociale, dignità del lavoro, di diritti e doveri in un modo in piena evoluzione.
Il neo eletto Vescovo di Roma e Pontifex Maximus è apparso urbi et orbi affacciandosi al balcone centrale della basilica di San Pietro e pronunciando un discorso scritto pro manibus che ha tenuto ben stretto fra le sue mani tremanti, anche per la comprensibile e fisiologica commozione del momento. La scelta di leggere – anziché parlare a braccio come avevano fatto i suoi predecessori, da Wojtyla a Ratzinger e Bergoglio – non si spiega solo con una presunta difficoltà linguistica. Prevost – Leone XIV – parla perfettamente sette lingue (a differenza di Francesco …) fra cui l’italiano e lo spagnolo (anche grazie alla sua lunga missione in Perù); conosce il latino. Quei fogli gli servivano ad essere preciso. A non sbagliare nulla e non correre il rischio di doversi fare correggere (come fu per Giovanni Paolo II che, in quell’ottobre del 1978, conquistò gli italiani in pochi secondi); a non improvvisare, come aveva fatto Bergoglio: «Buonasera, pregate per me…».
Con Leone XIV la parola che risuona con forza è “pace”. Certo, da un Papa non ci si poteva certo aspettare il contrario, magari che inneggiasse alla guerra… Mi pare ovvio.
«La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!».
Una pace che, lo auspichiamo tutti, non sia solo assenza di conflitti ma anche segno evidente di riconciliazione, di costruzione di ponti. Non a caso il termine pontefice deriva proprio da Pontifex, il costruttore di ponti. In inglese, come in latino, la parola non cambia: pontiff, simbolo di un’unione tra le sponde dell’umanità, tra popoli, culture e visioni diverse.
Cosa ci aspettiamo da Prevost? Che cammini su quei ponti, li rafforzi e ne crei di nuovi. In un mondo frammentato dove le distanze sembrano aumentare, il nome che ha scelto è per noi segno di speranza. Una speranza che parte dall’umiltà del dialogo, dalla forza della riconciliazione.
Ecco, questo io sogno: che il nuovo pontefice sappia essere architetto di una pace “disarmata e disarmante”, costruttore di ponti e messaggero di una rinascita spirituale che non soffra di nostalgici rimandi all’immediato passato ma sia capace di abbracciare la modernità restituendo, soprattutto, forza ad una umanità smarrita.
Così noi speriamo, così avvenga.
Uno scritto degno di un dotto. Appare come uscente dalla penna di un dottore della Chiesa. Sicuramente hai lo spirito di un pastore oltre a ciò si aggiunge la realtà del tuo essere un fine letterato. Bello