
Siate affamati o folli o tutt’e due, come propone Steve Jobs, invitando ad esplorare mondi sconosciuti che spesso si rivelano avvincenti, parola dell’inventore degli USA.
Di gran moda l’umorismo negli ambienti più vasti diviene una cassa di risonanza per spiegare fatti politici, per esempio. Il risultato è però una risposta mesta per i più che spesso e volentieri non fa nemmeno sorridere. Invece la pratica di uno sport che presuppone una risata autoindotta, voilà ecco che è una soluzione, al mal di vivere talvolta, tutti d’accordo. L’esperta dello yoga della risata e, al contempo, del complementare pilates Anna Paola Perrone designa movimenti propri yogici illustrando che in fondo l’induzione della risata ha un valore similmente ma non uguale alla risata spontanea, tuttavia affiora una novità.
Nel contesto della pratica pranayama il ruolo della risata coglie una relazione tra le persone tale che si supera la teoria legata al riso ovvero esclusivamente all’humor e alla sfera meramente ristretta alla situazione del qui e ora. In sostanza lo yoga della risata avrebbe la valenza di un comportamento sociale con basi evolutive e neurochimiche utile a rafforzare i legami e le rispettive connessioni. Dunque il termine “sociale” ha ragione d’essere permettendo di esprimersi in maniera personale e quindi creativa di contro alla standardizzazione che stiamo vivendo senza interrogarci se l’abbiamo scelta o abbiamo subito la condanna dell’omologazione, aderendo alla legge del più forte o del comune o di una comunità sconvolta cioè che non coinvolge , non distingue, non separa, non unisce, non spiega, non critica, è amorfa cioè senza forma, domandiamocelo.
