Le nostre feste, grande incontro di popoli

Tanto si è scritto e si è detto sull’uomo che, oltre ad essere Sapiens, Faber, Ludens, Politicus, Religiosus, è anche Festivus.

Feste e celebrazioni religiose sono di tutti gli uomini. Esse sono antiche come la storia; rappresentano il momento culminante di un rito ed esercitano un potere di aggregazione sociale di una comunità.

Se, però, un tempo le nostre feste venivano istituite per la felicità dell’uomo, almeno così dicono, oggi, in piena crisi della modernità, esse sono un momento di stasi, di riflessione critica sulla vita della collettività….

Quante luci, quante voci, quanti riti e quanti richiami, quanti cari sapori d’antico e quanti sfavillanti colori dei nostri giorni. Quanta gente, che va, che viene, che torna, senza una meta precisa, senza una precisa cosa da fare. Gente che si incontra con altra gente in un continuo mescolarsi di volti freschi e di volti segnati dalla fatica o dagli anni, di brevi discorsi e di sagaci battute dialettali, di sorrisi appena accennati e di calorosi saluti, di domande e di risposte, di sguardi interessati e di occhiate distratte, di commenti a mezza voce e di frasi gridate per sollecitare l’acquisto di questo o di quell’oggetto dalle solite bancarelle.

Una miriade di gente che si incontra non per sostenere i propri beniamini contro un avversario da battere in una importante competizione sportiva, non per ascoltare la voce di un idolo del mondo della musica o dello spettacolo né per manifestare il proprio sostegno ad un noto esponente della propria parte politica o sindacale e nemmeno per riconoscersi nel pensiero e nelle parole di una carismatica personalità religiosa. Piazze e strade gremite di una folla quindi serena, non mossa da particolari interessi né attraversata da forti passioni eppure lontana da qualsiasi clima spensieratamente o chiassosamente vacanziero. Un confluire finalmente “alla pari” di uomini e donne senza leaders, senza privilegi, senza distinzioni di titolo, censo, prestigio, potere. L’esperienza salutare, sia pure fugace, di una comunità di uguali e forse proprio per questo da taluni snobbata o guardata con istintiva avversione.

Cosa sono, dunque, le tante feste patronali della nostra Puglia e del nostro meridione se non un grande incontro di popolo per attingere alla sorgente, nel nome di una venerata presenza, la linfa corroborante di una fede antica ma sempre viva anche se da alcuni vissuta nell’anonimato religioso senza distintivi e senza esplicitazioni. Un incontro per andare alle radici di una civiltà fatta di tante civiltà: autoctona, illirica, iapigia, mediorientale, afromediterranea, greca, latina. E soprattutto messapica per quel tratto antico, particolarmente esaltante ed ingiustamente misconosciuto della sua storia millenaria e complessa. Una civiltà definita “del bianco” per il colore delle sue pietre e delle sue case, per la luce piena ed intensa del suo sole e per il candore d’animo delle sue genti semplici e schiette.

Un incontro infine per riscoprire e riproporre i valori di una cultura “multiculturale” senza appartenenze e senza chiusure, frutto di una molteplicità di tradizioni, di esperienze, di sensibilità e di idee; il “precipitato storico” di una feconda miscela di lingue, costumi, arti, memorie, speranze e progetti diversi. Una cultura perciò del dialogo, dell’incontro, del confronto, dell’accoglienza ed anche della solidarietà e della condivisione che ha sempre dignitosamente reagito con questi suoi valori ad aggressioni, assoggettamenti e soprusi senza mai essere bellicosa o violenta.

«Una società pacifica e tollerante – ha scritto Nello Wrona nella introduzione di un libro sui Messapi di Cesare Daquino – che non generò condottieri né eroi trincerandosi dietro le armi e le corazze» e che fece il miracolo di essere, nella terra fra i due mari, «sintesi vivente della molteplicità e delle diversità etniche e razziali, contraltare del bello mitografico, brogliaccio e giornale di bordo di mille partenze e di altrettanti arrivi». Una carta di identità questa che ci descrive come siamo stati ieri e come vogliamo continuare ad essere oggi: salentini, pugliesi, italiani, europei, cittadini del mondo e, per storia e per indole, fratelli nel sangue e nel cuore di tutti coloro che in ogni parte del pianeta soffrono per l’ingiustizia, l’abbandono, le guerre.

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