Violenza vicina e lontana: il 26 novembre, a Campi, un evento per riflettere sulla violenza non solo di genere

Campi S.na (Le) – Non omnia possumus omnes (Non tutti possiamo tutto)  a ciò la suora del sorriso Madre Teresa avrebbe aggiunto “Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore”. Queste massime acquistano pregnanza nel contesto della ricorrenza relativa alla Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, celebrata in tutta Italia. Vari gli appuntamenti e tra questi l’evento alla Sala Don Pietro Serio a Campi Salentina. La manifestazione “Diciamo no a tutte le violenze di genere” è stata introdotta e moderata da Antonio Soleti, direttore di Puglia Sanità.

Il saluto del primo cittadino, Alfredo Fina, rivolto ad un parterre di spessore ha dato il via ai lavori con un messaggio dal sapore del monito per gli adulti di riappropriarsi dei valori familiari all’insegna dell’uguaglianza tra i sessi. Una voce fuori dal coro della memoria in generale giunge dalla presidente di “AmiamoCampi”, Giusy Colapietro, che ha inteso gettar luce, distinguendo i destinatari della violenza oltre le donne, gli uomini, i bambini e gli anziani. A sorpresa orienta l’attenzione sulla strumentalizzazione delle denunce che pure avvengono, seppur in una parte infinitesimale, ossia da una sparuta rappresentanza femminile, pur di ottenere benefici economici e acquisire gli affidi.

Nell’allestimento della location dell’evento patrocinato dal Comune la presidente dell’associazione ha voluto accostare alle scarpette rosse anche quelle nere in segno di sommessa protesta. Tra gli amministratori comunali l’assessore alle Politiche sociali e Pari Opportunità, Alessandro Conversano, invita la scuola e la collettività a non indugiare e minimizzare un fenomeno di tal portata, bensì ad occuparsi, riferito agli addetti ai lavori, dell’inserimento lavorativo delle donne vittime e della cura di bimbi soli.

Riguardo alla terminologia, quando si tratta di violenza, si è espresso il magistrato nonché autore teatrale Salvatore Cosentino che ha illuminato sull’uso improprio e abusato del termine “raptus”, evidenziando il significato che sottosta alla critica e che vorrebbe indicare “un’incapacità di intendere e di volere” e dunque indurre ad un’assolvibilità di rigore. La posizione del giudice è per le misure repressive rispetto alla soluzione dell’arresto ai domiciliari. Nel contempo si avverte una discrasia insita commentando l’essere donna a cui Soleti risponde bollando la provocazione lessicale di Cosentino offerta ad un pubblico attento come un “excursus semantico maieutico”, che nasconde nemmeno velatamente come il sesso femminile in senso esteso, al cospetto del genere maschile sempre e in assoluto sia un rarefatto quanto reale vaso di pandora.

Il punto di vista della consigliera di parità invitata dal conduttore a spiegare il suo ruolo nell’ambito provinciale l’avv. Filomena D’Antini, definisce il senso delle mansioni che spettano alla sua figura professionale e quindi di politica attiva di lavoro, di impegno per limitare al massimo le discriminazioni di genere. Il suo titolo è conferito dal Ministero del Lavoro previa indicazione dalla Provincia. Terrificante! La rivelazione “ogni 60 minuti muore una donna per mano di un uomo”. A tal proposito anticipa che vi sarà prossimamente una rivisitazione del termine femminicidio a causa delle criticità annesse al momento. Quanto alla prevenzione per tutti i mali allargando alla violenza domestica e ai minori la consigliera propone una regolamentazione nell’uso dei social “una mannaia sotto il profilo didattico ed educativo” e allora nella società digitalizzata sarebbe consono accedere agli smartphone che massivamente lo utilizzano con una supervisione da parte dei genitori.

Alla domanda di Soleti “Perché non è contemplato il termine di femminicidio” nel coacervo dei delitti alla luce della Legge, l’avv. Simona Antonucci afferma che, tenuto conto che la legge è uguale per tutti, non è corretto distinguere nel caso di omicidio, la pena è uguale, salvo l’aggravante della vicinanza parentale fra vittima e carnefice. La difficoltà ad uscirne dalla selva  del diritto da una parte e dalla possibilità di riuscita per chi  per volere o a torto finisce nelle maglie della giustizia è nella doppia vittimizzazione, la violenza a casa e quella inevitabile processuale. Siffatto stato di cose fa sì che si instauri un legame invischiato dove esiste una collusione emotiva, una sorta di sindrome di stoccolma dove il partner diventa il “sequestratore” di cui la vittima subisce un maliardo fascino. Si parla di varie fasi di una cosiddetta ” luna di miele”, all’inizio  l’abusante eufemisticamente, chiede scusa e perdono, adducendo la causa del designato comportamento a  droga o alcol. In seguito a profferte e regali poi ricomincia il ciclo. E dunque i gesti d’amore eclatanti che portano la  donna specie in crisi economica ad abbracciare la sindrome di crocerossina.

In conclusione Matteo Cilla, segretario nazionale di Confintesa nel Comparto Sicurezza espone i problemi impliciti al mestiere delle FFOO, le turnazioni e vessazioni con la corrispondente generale scarsa tutela e meno prestazioni ottimali e relativi ascendenti sulla vita in generale negli Istituti di pena  per completare con un quadro di desolazione con i suicidi dei reclusi che non vengono creduti.

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