Sentenza USA sull’aborto, D’Antini “passo indietro nella difesa dei diritti delle donne”

Da qualche giorno la Corte Suprema americana ha posto fine alle garanzie costituzionali per l’aborto, in vigore da quasi 50 anni. Si tratta di una controversa decisione presa dalla maggioranza conservatrice dell’Alta Corte. «La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto», recita la sentenza. In particolare, la Corte Suprema ha ribaltato il precedente giurisprudenziale attraverso cui era stato affermato il diritto costituzionalmente garantito all’aborto, ossia la storica sentenza “Roe vs Wade”, pietra miliare della giurisprudenza statunitense. Prima di tale sentenza l’aborto era disciplinato dagli Stati con legge propria, per cui ogni Stato poteva liberamente adottare delle leggi che vietassero l’aborto. In almeno 30 Stati era previsto come reato di common law, vale a dire che non poteva essere praticato in nessun caso. In 13 Stati era legale nei seguenti casi: pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. In 3 Stati era legale solo in caso di stupro e di pericolo per la donna. Dopo “Roe vs Wade” il diritto all’aborto venne riconosciuto, a prescindere dalla legislazione dei singoli Stati, anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta della donna. Questo diritto poteva essere esercitato fino ai 7 mesi di gravidanza.

Ad oggi, con la sentenza emessa dalla Corte Suprema, l’aborto non viene considerato automaticamente un reato in tutti gli Stati, ma i singoli Stati hanno riacquistato il potere di limitarne l’accesso e vietarlo. Sono 26 gli Stati in cui questo diritto potrebbe essere limitato o vietato completamente. Il Missouri ha subito rivendicato di essere il primo Stato ad aver vietato l’aborto dopo la sentenza, seguito a ruota dal Texas.

La questione è volata oltreoceano. A pronunciarsi, anche la consigliera per la parità di Lecce Filomena D’Antini “L’interruzione di gravidanza non può diventare un contraccettivo, ma di fatto lo è diventato e questo se da un lato è inaccettabile dall’altro ci pone interrogativi di fronte a due diritti inalienabili: il diritto alla vita e il diritto di libertà. La VITA è sacra, ma regredire sui diritti delle donne, aprendo la strada anche a seri rischi per la loro SALUTE psico fisica e penso alle vittime di stupro, è anacronistico. Con la sentenza di ieri gli Usa hanno fatto un salto indietro nella storia evidenziando ancora una volta le contraddizioni di un paese che si proclama democratico ma che di fatto non lo è”. Le conseguenze di questa sentenza si rivelano infatti già dannose: vietare l’aborto non vieta mai l’aborto. Vieta solo l’aborto sicuro, ma saranno centinaia le donne che ricorreranno all’aborto clandestino, mettendo a rischio la propria salute e la propria stessa vita.

In Italia, la legge 194, introdotta nel 1881, depenalizzò e disciplinò le modalità di accesso all’aborto volontario. Tuttavia, ancora oggi, a quarant’anni di distanza, questa legge subisce nuovi attacchi e sono numerosi i tentativi di paralizzarla e di renderla inoperante grazie all’obiezione di coscienza dei medici e alle inadempienze delle amministrazioni sanitarie. Nonostante ciò, oggi come nel 1881, c’è chi si batte per il rispetto della legge e perché siano affermati, salvaguardati, difesi i diritti delle donne, ma anche per la democrazia, per la legalità, per la libertà e la responsabilità della persona. Come la stessa consigliera D’Antini ha garantito, “In Italia i diritti saranno sempre garantiti.”

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