Melendugno, omicidio Angela Petrachi: la Corte d’Assise dispone nuovi accertamenti

Melendugno (Le) – Sono passati 19 anni, eppure il caso di Angela Petrachi, uccisa il 26 Ottobre 2002, sembra essere ancora lontano dalla risoluzione definitiva. La donna, originaria di Melendugno, che all’epoca dei fatti aveva 31 anni, fu seviziata e uccisa. Fu strangolata con i suoi slip e mortificata con un ramo conficcato nei genitali, gesto con il quale l’assassino avrebbe voluto oltraggiare il cadavere. Sotto le unghie della donna non vennero trovate tracce di difesa. L’unico indagato era Giovanni Camassa, trattorista di 52 anni condannato all’ergastolo.
Recentemente è però sorta la possibilità di un nuovo processo, grazie alla decisione della Corte d’Assise d’Appello di Lecce che, l’8 Giugno 2021, ha accolto la richiesta, avanzata dalla difesa di Camassa, di accedere ai reperti (gli indumenti della donna) per sottoporli a nuovi accertamenti tecnico-scientifici sul materiale biologico sfruttando strumenti all’avanguardia, per comprendere se si tratti di sangue, sudore o liquido seminale.
L’obiettivo è di ritrovare nuove prove ed elementi per poi avanzare una nuova richiesta di revisione del processo. Tutti i dubbi si concentrano proprio sul corpo e sui vestiti della donna, sui quali furono ritrovati due DNA diversi: uno risultato compatibile con quello dell’ex marito della donna, l’altro rimasto ignoto. Nessuno dei due compatibile con il DNA di Camassa, che si proclama innocente dal maggio del 2003, quando fu arrestato con le accuse di violenza sessuale, omicidio aggravato e vilipendio di cadavere.

Quello di Angela Petrachi non è solo uno dei più cruenti e spietati femminicidi del Salento, ma è anche uno dei casi più controversi, poiché Camassa fu assolto in primo grado “per non aver commesso il fatto”, ma il verdetto fu ribaltato in appello con una condanna all’ergastolo, confermata dalla Corte di Cassazione nel 2014.

All’epoca dei fatti, Angela viveva con i due figli di 5 e 7 anni. Di lei si persero le tracce il 6 Ottobre 2002, quando, dopo aver pranzato a casa dei genitori, uscì dicendo che sarebbe andata per un’ora nella propria abitazione e che sarebbe tornata per accompagnare il figlio più grande al catechismo. Pochi giorni dopo, la sua auto fu ritrovata in uno spiazzo adiacente il campo sportivo, con la ruota posteriore destra a terra per un chiodo conficcato nel copertone. All’interno i documenti dell’auto e il giubbino. I documenti della donna furono invece rinvenuti un paio di giorni dopo da un passante, sulla provinciale che da Melendugno conduce a Borgagne. E lì vicino, nel bosco Li Poppi-Giammarrei, un cercatore di funghi di Calimera scoprì il suo corpo ormai privo di vita l’8 Novembre 2002.

Nel maggio 2003 venne arrestato Giovanni Camassa. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe avuto contatti telefonici con la vittima legati all’acquisto di un cane da guardia, poiché la donna si sentiva in pericolo, e durante l’incontro l’avrebbe violentata e strangolata con gli slip. Inizialmente, l’alibi fornito dall’allora fidanzata (attuale moglie) fu di estrema importanza, insieme all’assenza del movente, per scagionare Camassa, ma la trascrizione integrale delle intercettazioni e la perizia sui telefonini della coppia (che nelle ore in cui sarebbe stato commesso l’efferato delitto avrebbero agganciato celle differenti, dimostrando che non erano insieme come avevano sempre sostenuto) avrebbe ribaltato la sentenza. Inoltre, la presenza dell’uomo nelle vicinanze della Fiat Panda della donna e nel bosco in cui fu rinvenuto il cadavere, riscontrata in fase processuale da documenti e dichiarazioni di testimoni, fu decisiva per la condanna a vita del trattorista.

Qualche anno fa poteva esserci la svolta dopo la richiesta di revisione del processo, ma la Corte d’assise d’appello di Potenza, presieduta dal giudice Pasquale Materi, aveva ritenuto inammissibile il ricorso giudicando le nuove prove non decisive e sufficienti per disporre la riapertura del processo o l’assoluzione dell’imputato. Infatti, secondo i giudici, l’analisi proposta dalla difesa non avrebbe aggiunto nulla e non sarebbe risultata decisiva per ribaltare il giudizio di colpevolezza di Camassa. Ciò portò la difesa a fare ricorso alla Cassazione, ritenendo illegittimo il provvedimento dei giudici potentini, in quanto le nuove prove avrebbero potuto determinare una totale revisione del processo, avviando approfondimenti su fronti investigativi rimasti inesplorati.

Tuttavia, neanche il verdetto della Cassazione fu positivo: ricorso rigettato ed ergastolo confermato per Giovanni Camassa. La sua famiglia non si è mai arresa, ha continuato a ribadire l’innocenza dell’uomo, dedito al lavoro e definito da tutti “una brava persona” e ha chiesto a gran voce di approfondire meglio i rapporti della vittima con i suoi ex, soprattutto in virtù della testimonianza di un medico di famiglia, ormai in pensione, con quarant’anni di servizio a Melendugno, che nel 2020 ha riferito di esser venuto a conoscenza, tramite un paziente, che nel pomeriggio del delitto, la vittima sarebbe stata vista entrare in un bar intorno alle 14.30 insieme a un personaggio “basso e tarchiato, con una brutta faccia”,  che non era Giovanni Camassa. Ora i nuovi accertamenti richiesti da Ladislao Massari e accolti dalla Corte d’Assise potrebbero gettare nuova luce sui fatti e condurre a una riapertura della vicenda. Proprio gli esiti degli esami di laboratorio potrebbero infatti spostare completamente l’ago della bilancia in uno dei delitti più feroci che il Salento ricordi.

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