Basta col turismo di massa. Via al turismo d’élite

Turisti a Santa CroceDefinire quanto sia rilevante economicamente il turismo in provincia di Lecce è questione assai complicata e controversa. E questo perché il sistema di accoglienza del basso Salento è estremamente composito e coinvolge molti comparti produttivi. Infatti, non può circoscriversi il fenomeno turistico al solo sistema alberghiero e della ristorazione associati ai complessi balneari.

Del turismo ne risentono le industrie agroalimentari, dell’edilizia, dell’arte, lo spettacolo e la cultura, il commercio, l’artigianato. In definitiva, gran parte del sistema di produzione e scambio leccese è interessato dal fenomeno turistico. Fino a dieci anni fa si attribuiva al sistema vacanziero un contributo al PIL provinciale pari all’8%. Una percentuale, che attualmente può farsi ascendere a ben oltre il 15%. In tale prospettiva il turismo si pone come il principale settore produttivo della provincia di Lecce, secondo solo al commercio.

Un settore che ha una storia di non poco conto, se inteso nell’accezione di massa e in una prospettiva moderna. Sotto altra angolazione non va dimenticato che il turismo in provincia di Lecce ha origini lontanissime e che possono farsi risalire alla fine del ‘600, con lo sviluppo del granturismo in Europa. Nella prospettiva odierna, invece esso risale agli inizi degli anni ’70 del ‘900. I primi insediamenti si registrano sul versante dell’Adriatico, con focus ad Otranto. E per certi versi proprio Otranto fa da battistrada al turismo leccese, che, come si dirà tra poco, adotta le sue soluzioni in seconda battuta e con un ritardo di almeno quindici anni. Ed infatti, con più ritardo nello sviluppo troviamo le località dell’arco ionico, con in testa Gallipoli, e poi, nell’ultimo decennio, il capoluogo, Lecce. Due centri urbani, cui si somma Ugento, che costituiscono oggi i poli di maggiore attrazione.

Si tratta di un fenomeno di portata vastissima se si pensa che il basso Salento addensa più del 35% del fenomeno turistico pugliese e che si sostanzia con arrivi superiori ad 1.000.000 di unità e presenze superiori a 4.000.000 di giornate. Un turismo oramai maturo nella sua conformazione originaria e che, per giunta, si presenta sufficientemente destagionalizzato, andando la stagione da aprile ad ottobre inoltrato. E ciò contrariamente di quanto avveniva fino a dieci anni fa, quando questo si sviluppava solo nei tre mesi estivi.

Si può dire che, con tali cifre, siamo ai limiti dello sviluppo, almeno nell’accezione di massa. Chi scrive, infatti, crede che oltre, almeno in termini quantitativi, il turismo leccese non possa più andare, non ha più alcunché da esprimere ed è largamente prevedibile che nei prossimi dieci anni subirà una fase di stagnazione, come è successo al turismo idruntino tra il 2003 ed il 2013. Qui, in tale periodo il fenomeno in termini quantitativi è rimasto pressoché invariato, registrando invece una riqualificazione in termini qualitativi, mostrando, oggi, un’offerta oramai di alto livello e razionalizzando il complesso di servizi messi a disposizione del turista.

Sul versante ionico invece siamo in presenza di un turismo selvaggio, che si è sviluppato senza logiche precise e sospinto solo da una domanda incalzante e di basso livello. Anche nel capoluogo, Lecce, la situazione non è diversa, fatta esclusione per i mesi spalla, ovvero aprile maggio, settembre, ottobre.

Tale quadro, sebbene sinottico, deve indurre alla riflessione non solo i politici, nel pensare e predisporre un intervento più qualificato, ma soprattutto per gli operatori privati per i quali sarebbe auspicabile che comincino a razionalizzare le loro attività e ad innalzare l’offerta, affinché i margini di profitto siano tendenzialmente in crescita, con benefici per l’occupazione e l’economia tutta. 

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