Il sogno del barone

Il sogno del barone

In questi ultimi anni le conoscenze sulle vicende municipali di Novoli si sono notevolmente ampliate grazie a concrete ricerche storiografiche che gradatamente stanno restituendo a questo Comune la sua identità gettando nel contempo tanta luce sulle sue trame occultate dalla leggenda e dai secoli. Le vicende novolesi furono contrassegnate in larga parte dalla Famiglia Mattei, feudatari succedutisi per circa due secoli prima che la morte dell’ultimo Mattei (Alessandro III) avvenuta nel marzo 1706 a soli 44 anni si estinguesse e i feudi fossero acquistati dai Carignani Perciò ad uno che come me da anni studia la famiglia Mattei e non cessa di sostenere i pregi dell’umanista e Mecenate Alessandro I, leggere questo particolare lavoro di Giulia Reale che segna il suo esordio in questo non meno impegnativo genere letterario (di Giulia ho avuto il piacere di leggere anche le sue poesie), lavoro in cui felicemente sono mescolate fantasia, realtà, immaginazione e storia, è stato certamente un piacevole e inaspettato privilegio.

Nonostante la vasta bibliografia accumulatasi in questi anni, a parte un felicissimo e originale tentativo di Fernando Cezzi pubblicato su “Sant’Antoni e L’Artieri” del 17 Gennaio 1998 (un “Divertimento storico” con Paolo Mattei uomo di Leggi che acquistò il feudo di Santa Maria de Nove nel 1520) non mi risulta che sia mai stata tentata una simile interpretazione della loro esistenza colta in maniera originale pressappoco qui agli inizi della loro baronia e incentrata sulla figura del primo Alessandro, personaggio principale della trama narrativa, del tutto sconosciuto storicamente e che già nel 1562 era feudatario di Santa Maria de Novis allorquando eredita i feudi dal padre Filippo I, periodo in cui il “sogno” dischiude i suoi scenari e l’autrice trova ispirazione e ambientazione per il suo stesso lavoro. Questo racconto di Giulia Reale mi richiama inevitabilmente alcune significative riflessioni dell’amico Antonio Errico sul suo “senso del passato” e che mi piace riportare qui integralmente. “Il passato non abbandona mai un uomo. Segue i suoi giorni come un’ombra talvolta incombente, altre volte leggera. Gli ricorda da dove proviene, da quali luoghi, esperienze, passioni, da quali felicità, da quali dolori. Gli presenta il conto di quello che ha fatto e non ha fatto, di quello in cui ha creduto e poi ha smesso di credere. Il passato gli indica la strada; perché ogni strada nuova s’intraprende avendo imparato a distinguere le strade giuste da quelle sbagliate. Nella sua astrazione memoriale, nella sua evanescenza, il passato si fa concreto attraverso la presenza degli oggetti che gli appartengono, che lo rappresentano: che ritornano come ossi di seppia restituiti dal mare o che, ad un certo punto, nella loro fissità in un angolo, in una soffitta, in una cantina, lanciano un richiamo. Così si riprendono le forme delle stagioni trascorse, ridiventano volti e voci quasi fantasmi premurosi che domandano di essere raccolti alla vita”. Nella storia di Alessandro I, di Licia e Ada c’è tutto questo. Essi sono un felice “espediente” per l’autrice e nella loro trasposizione temporale, servono per interrogarsi sul senso reale di sé e dell’esistenza, scandita da tanti sogni svaniti, da tante disperate speranze, da tante promesse non mantenute, da tanti giuramenti traditi. La loro altalena di sentimenti è ricostruita infatti dalla Reale anche attraverso episodi che appartengono ai loro discendenti e che si sovrappongono narrando le loro umane vicende.“Il sogno del barone” è stato anche e sempre il sogno di Giulia Reale, affascinata da anni dalle loro storie e dalle loro esistenze, dalle loro fortune, dai loro fasti anche illusori e dalla loro decadenza e fine. Con questo lavoro Giulia Reale racconta il diritto e il rovescio della storia, la speranza e la disperazione, la concretezza e la fantasticheria. Racconta il visibile. Soprattutto l’invisibile: racconta tutto quello che scorre sotterraneo, che è stato e non è più. Racconta dunque la memoria che forse non è altro che una pietosa consolazione dell’assenza. Scritto con la “dolcezza” che Giulia possiede, mondo reale e mondo immaginario diventano qui luoghi dell’anima e luoghi del destino, del nostro destino, luoghi per raccontare anche lo nostra storia e la nostra cultura.

(Tratto dalla prefazione al romanzo a cura di Gilberto Spagnolo)

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