L’altra faccia del prestigio

Fresca era l’aria e la pioggia oramai andata in un lungo letargo estivo, la terra era arida, innaffiata solo dalla lungimiranza contadina. In quel periodo si seminava l’amore, si seminavano i frutti del tempo infuocato dalle forti temperature, che nonostante tutto trovavano la vita in quei lunghi caldi estivi. I profumi d’erba secca tagliata, si diffondevano nell’aria come incenso in una moschea; la forte musica degli insetti era il sottofondo naturale che urlava all’arrivo della stagione. Le prime piante di uva partorivano i propri figli in quel giallo caldo salentino. Si rideva, si scherzava, i campi erano pieni di quella gioia che pochi possono capire, quei piccoli chicchi d’uva sarebbero stati gemme d’oro per i coltivatori, così come quei rubini di olive, oro nero che noi salentini avevamo nel cuore come figli. Erano altri tempi, erano i tempi in cui la vita correva non contando gli anni, ma le stagioni, erano periodi in cui la gente era felice del proprio coltivato, del proprio lavoro; gli uffici, i grandi palazzi, erano solo un qualcosa di lontano, che futuristicamente avrebbero cambiato un po’ tutto quello che era.

Ad oggi quell’oro e quelle gemme, si sono trasformati in grossi pesi per molti dei figli di chi deteneva quelle terre e quel primato; l’agricoltore del tempo è disperato, non ha molto di cui campare a causa dell’industrializzazione e degli scambi commerciali che portano a noi vino e olio di bassa qualità. Quel viticoltore e quel frantoiano, sono divenuti borghi isolati dal mondo, scostati dai lavori odierni che il chiunque vuole fare.

Siamo abituati oramai a lavori lontani dalla terra, noi Salentini, che di quello dovremmo vivere. Ma giurisprudenza, medicina, farmacia, e tutti quei mestieri che per la società sono tanto ambiti, non fanno altro, in alcuni casi estremi, che mettere il nostro paese e la nostra economia in difficoltà. La colpa del decadimento salentino non è dovuta solo ai nostri amministratori, ma è dovuta, ahinoi, anche alla mentalità nefasta di dover avere il figlio avvocato o dottore, perché il prestigio ha superato il bisogno, ha superato ciò che tutti noi crediamo sia importante.

Nessuno si rende conto che non si ha bisogno solo di avvocati, ma anche di agronomi, di contadini, pastori. Il mercato ci dà tutto, ma il “tutto” è cibo di pessima qualità, cibo scarso e contaminato da metalli pesanti che purtroppo tutti noi mangiamo e assorbiamo. Allora tutti noi dovremmo levare un grido ai nostri giovani, ai giovani che non sanno cosa fare della propria vita, a tutti quei giovani che si iscrivono a giurisprudenza e altre lauree solo perché (si dice) hanno molti sbocchi lavorativi tanto “poi si vedrà”; quei giovani che anche con una laurea finiscono a lavorare in bar di paese o in hamburgerie multinazionali dove spesso sono sottopagati. A tutti questi giovani, si dovrebbe insegnare a coltivare la terra, a portare le pecore a spasso, a raccogliere olive per poterne fare “oro nero”. Questo paese devastato dal dolore ha bisogno di gente che ami il proprio territorio e quello che esso regala, che ami gli animali e tutto quello che essi ci donano spontaneamente, solo così, il nostro Salento e la nostra Italia potranno respirare. Inutile aspettare gli amministratori, loro son buoni solo nell’economia personale, nel fare i propri interessi, siamo noi che  dobbiamo cambiare mentalità per regalare ai posteri ciò che i posteri non hanno regalato a noi.

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