“Dieci anni di solitudine”: presentato a Trepuzzi il nuovo libro del senatore Giovanni Pellegrino

Trepuzzi (Le) – Sensazioni, umori, emozioni sono confluite in un revival misto ad un senso di amarcord vissuto tra amici, conoscenti e compagni di cordata nell’aula consiliare di Trepuzzi. L’ospite attesissimo, un politico d’eccezione, caro alla cittadina del nord Salento, fiore all’occhiello dell’ambiente politico che l’ha accolto con puntuali omaggi, il senatore Giovanni Pellegrino. Con le dovute  attestazioni di stima in apertura il delegato alle politiche culturali, Giacomo Fronzi ha salutato l’evento unitamente alla presidente del consiglio Anna Maria Capodieci, il cui rilievo particolare ha accompagnato il benvenuto del sindaco Giuseppe Taurino che ha ricordato quanti eventi si sono succeduti, concatenati alla presenza del noto uomo politico salentino al quale il primo cittadino riconosce una personalità industriosa, di singolare spessore culturale e coerenza interna tale che  in nessun caso ha tradito se stesso e poi intervistato da Adelmo Gaetani, editorialista del “Nuovo Quotidiano di Puglia”.

L’appuntamento si configura nel “La giornata per la legalità e il contrasto alla criminalità mafiosa” a 31 anni dalla strage di Capaci.  Nell’occasione è stato presentato il nuovo libro dell’ex parlamentare, “Dieci anni di solitudine”, periodo in cui ha prestato la sua opera in senato (dal 1990 al 2001) e nei 5 anni in cui è stato Presidente della provincia di Lecce. Il sottotitolo, Memorie di un eretico di sinistra, prefato da Mario Caligiuri, edizioni Rubbettino.

Tra le varie presenze, Antonio Maniglio, già consigliere regionale, che ha introdotto l’argomento legato alla storia politica e umana di Pellegrino. Un flashback su aneddoti ed episodi che hanno contrassegnato la vita ante e post la sua esperienza politica, come la descrive l’autore. Ai quesiti posti da Gaetani, il quale chiede allo scrittore se è casuale o abbia voluto parafrasare Gabriel Garcia Marquez nei suoi “Cent’anni di solitudine”, a ciò Giovanni Pellegrino dà una  parola per ogni cosa ab origine, non ultimo la denominazione di eretico, spendendosi in lungo e largo riguardo ai trascorsi politici e prettamente umani suoi propri. E continuando con i vissuti congruenti al periodo in cui ha svolto gli incarichi di presidente della Giunta per le Immunità del Senato e della Commissione Bicamerale d’inchiesta sul terrorismo e le stragi. Altresì nella rivoluzione giudiziaria ha vissuto una particolare  “solitudine” rispetto alle posizioni di base relative al suo partito. Ancor di più spiega tale contesto, puntualizzando di essere un liberal (e non liberale) e focalizzando talune relazioni significative. Tanto è riscontrabile nell’oggetto che ha suscitato particolare interesse, il rapporto con le forze politiche nazionali e nate in seno all’attività governativa  in cui un contributo di forte valenza  è stato riconosciuto all’ex presidente del consiglio dei ministri della Repubblica , primo e unico con un passato nel partito comunista italiano a ricoprire tale carica, Massimo D’Alema, un confronto di carattere “altalenante”, come l’autore lo descrive nel volume.

Il bello della riunione nella sala consiliare tra una platea di varie generazioni è la valutazione ancor prima di leggere il libro della carica psicologica che tuttora possiede questo personaggio, definito sul “cantiere” politico “cavallo pazzo” per aver “cavalcato” situazioni difficili. Lo stesso apre e chiude parentesi fondamentali tipicamente occidentali e di politica estera con motteggi,  e successivamente, come si rileva nel libro, con i chiaroscuri immancabili ed  eufemisticamente tristi riguardo alla particolare a dir poco analisi sulla dolente sorte del grande statista Moro e tra gli uomini politici che doviziosamente hanno fatto la storia nazionale, l’incontro con Giulio Andreotti. Contesti della Seconda Repubblica che possono essere narrati da un testimone che ha inciso sui cambiamenti che si sono avvicendati con la messa in campo di una statura politica di cui la persona risulta rappresentare e nel decalogo degli anni raccontati sostenendo la responsabilità della res pubblica.

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