“Una stanza tutta per sé”: a Gallipoli un luogo adatto ad accogliere donne vittime di violenza

Gallipoli (Le) – Il progetto del Soroptimist International d’Italia denominato Una stanza tutta per sé, titolo mutuato da un saggio di Virginia Woolf, ha lo scopo di sostenere la donna nel delicato momento della denuncia delle violenze subite e nel percorso verso il rispetto e la dignità della sua persona.

Le indagini statistiche italiane ed europee evidenziano una bassa percentuale delle vittime di violenza che denunciano e uno degli obiettivi del Soroptimist è il far emergere il sommerso incoraggiandole a rivolgersi alle Forze dell’Ordine. Le remore e le difficoltà a denunciare sono molte, come è noto, ma è dimostrato che un luogo protetto e accogliente aiuta la donna a voler raccontare aspetti intimi della sua sofferenza.

L’aula per le audizioni intende creare, infatti, un ambiente che porti la donna a un incontro meno traumatico con gli investigatori, che la faccia sentire accolta e ascoltata, che le faccia percepire l’attenzione che si ha per i suoi gravi problemi. Per questo sono state stabilite delle linee guida per l’arredo delle stanze che tengono conto della psicologia dei colori e delle immagini sul comportamento umano. La stanza è, inoltre, dotata di un sistema audio video per la verbalizzazione computerizzata che evita alla vittima più momenti di testimonianza e che può servire per la fase processuale successiva.

Il progetto, che ha avuto il primo prototipo a Torino nel 2014, è divenuto nazionale nel 2015 con la presidenza di Leila Picco che ha sottoscritto un accordo con il Comando Generale dei Carabinieri. Si è ampliato andando, anche, verso un’attenzione più articolata delle problematiche dell’incentivo alla denuncia della violenza di genere, si è esteso a realtà investigative diverse dai soli Carabinieri come le Questure, si è occupato di predisporre mezzi per avvicinare il maggior numero possibile di vittime. Nel 2019 è stato siglato un protocollo con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno.

Non tutte le sedi delle Forze dell’Ordine dispongono dei locali necessari per l’allestimento di aule protette per l’audizione e, in alcuni casi, è preferibile accogliere la testimonianza della donna in un luogo diverso da quello istituzionale, come l’abitazione della vittima, il pronto soccorso al quale è dovuta ricorrere o ogni altro ambiente in grado di supportarla.

Il progetto iniziale si è, quindi, accresciuto con quella che è stata definita Una stanza tutta per sé … portatile, una valigetta con il kit informatico audio-video per la verbalizzazione delle denunce e per la lettura del linguaggio del corpo. Le stanze, quasi ovunque, sono state dotate di un angolo per l’accoglienza o lo svago dei bambini che accompagnano la mamma, che potrebbero essere stati oggetto di violenza diretta o testimoni che hanno assistito ai maltrattamenti.

Un aspetto non trascurabile riguarda la necessità di diffondere tra il maggior numero possibile di donne la notizia dell’esistenza delle aule, di dove si trovano, di come raggiungerle e, anche, delle immagini fotografiche delle accoglienti stanze protette. Il messaggio che deve arrivare alle vittime è che esistono persone e luoghi pronti ad ascoltare le loro sofferenze e a intervenire per proteggerle. A questo scopo l’Unione italiana ha predisposto, fin dal 2016, una mappa interattiva dell’Italia sul proprio sito web all’indirizzo

https://www.soroptimist.it/unastanzatuttaperse/ alla quale si può accedere, anche, dal sito web del Comando Generale dei Carabinieri.

La mappa riporta tutti i dati necessari per individuare la localizzazione e la tipologia dell’aula protetta cioè le città ove è presente, l’indirizzo della Caserma dei carabinieri o della sede della Polizia di Stato e l’immagine dell’ambiente.

A oggi sono 220 le stanze già allestite su tutto il territorio nazionale, la maggior parte nelle Caserme dei Carabinieri.

Leila Picco, ideatrice e referente nazionale del progetto, ci dice:

“La stanza tutta per sé è un’idea forse semplice ma di provata efficacia perché la sua esistenza ha dichiarato a tutti la rilevanza del problema della violenza di genere e, in particolare, ha aumentato la cultura dell’attenzione. E il mio consiglio alla donna maltrattata fisicamente e psicologicamente resta sempre lo stesso: Non rimanere in silenzio. Chiedi aiuto!”.

Maria Eugenia Congedo, presidente del Soroptimist International Club Lecce, dichiara: “E’ con orgoglio e soddisfazione che annunciamo l’inaugurazione della seconda “Stanza tutta per sé” realizzata dal Club di Lecce. La prima è stata realizzata, sotto la presidenza di Natasha Mariano Mariano nel 2016, presso il Comando dei Carabinieri di Lecce ed ora spostata presso la più centrale stazione di Santa Rosa, sempre a Lecce. Dare l’opportunità alle donne che subiscono violenza o abusi di poter denunciare i maltrattamenti subiti, in un ambiente protetto, significa dare l’opportunità di farlo, sapendo quanto difficile sia ancora questa scelta. Nello specifico di Gallipoli, importantissima è stata la rete che si è creata tra le associazioni del territorio che si sono strette efficacemente attorno al Soroptimist per contribuire alla realizzazione della stanza”.

Ieri mattina, alla presenza di Autorità civili, militari e religiose e degli studenti del Liceo Quinto Ennio e dell’Istituto alberghiero di Gallipoli, è stata inaugurata “Una Stanza tutta per Se’” presso il Comando Compagnia Carabinieri di Gallipoli. L’iniziativa è stata realizzata grazie anche alla fattiva collaborazione delle Associazioni della “Città Bella”: AIDO, Circolo La Fenice, Cittadinanzattiva, Fai Salento Jonico, Fidas, Fidapa, Interact, Lion’s e Pro Loco.

A fare gli onori di casa, il Comandante della Compagnia, Cap. Beatrice Casamassa e il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Lecce, Col. t.ISSMI Donato D’Amato, il quale, nel suo indirizzo di saluto ai presenti ha detto “Rinnoviamo oggi la proficua sinergia tra l’Arma dei Carabinieri e Soroptimist International Italia, nata ormai 8 anni fa per incoraggiare le donne vittime di violenza a rivolgersi alle Forze dell’ordine, sostenendole nel delicato momento della formalizzazione della denuncia. Un progetto di straordinaria importanza che – tuttavia – non riguarda soltanto le donne ma si rivolge anche ai minori e più in generale alle persone fragili, troppo spesso vittime di violenze fisiche e morali, di abusi che si manifestano tra le mura domestiche o comunque nel contesto di relazioni familiari o sociali dove l’aggressore non è un estraneo, ma una persona alla quale la vittima è legata da vincoli affettivi. Un progetto che si traduce, in sintesi, nella realizzazione di una stanza destinata alle audizioni delle vittime di violenza, dove viene riprodotto un ambiente informale, protetto e confortevole, che possa da un lato favorire un approccio meno traumatico con gli operatori delle Forze di Polizia e dall’altro sostenere la vittima trasmettendole una sensazione di empatia e accoglienza. Non è solo una questione estetica o puramente formale. Il momento in cui una vittima entra nella stanza delle audizioni è un momento estremamente delicato (normalmente segue un episodio violento in cui è intervenuta una pattuglia): in quel momento la vittima è disorientata, disperata, terrorizzata ma allo stesso tempo è ancora incerta, non è ancora pienamente determinata nella volontà di denunciare. Volontà che improvvisamente potrebbe venir meno. È quindi un momento spartiacque fondamentale, in cui l’atteggiamento dell’operatore di polizia e l’ambiente circostante svolgono un ruolo determinante. È quello il momento in cui la vittima deve avere la certezza che non sarà lasciata sola nel suo doloroso percorso. È quello il momento in cui, anche grazie all’accoglienza della stanza in cui si trova, non può subire un nuovo trauma, non può e non deve crollare. Su questo grandi passi avanti sono stati fatti negli anni: oltre al quadro normativo che si è fatto via via più stringente, le stesse Forze di Polizia hanno affinato la preparazione dei loro operatori, specializzandoli. E poi, il progetto “Una stanza tutta per sé” di Soroptimist ha contribuito in maniera determinante a creare un link empatico tra l’ambiente istituzionale e la vittima di violenza”.

Il Colonnello D’Amato ha poi continuato dicendo “Quando operiamo, occorre sempre ricordare che uno dei successi del nostro lavoro quotidiano è anche ciò che non accade. Non credo quindi che esista un modo affidabile per “misurare matematicamente” la riuscita di un progetto come quello odierno. Ciò di cui sono convinto è che i sentimenti e le emozioni che sorreggono progetti come questo animano tutti noi nella nostra quotidiana attività e sono l’unica chiave per conquistare il cuore di una donna ferita e convincerla ad affidarsi alle istituzioni, con la certezza – e questo è per tutti noi un impegno morale prima che giuridico – che non sarà lasciata sola nel suo lungo e doloroso percorso di liberazione dalla violenza”.

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