La pulce nell’orecchio: quando l’antico può aiutare a comprendere il moderno

È ormai noto che se da un lato non pochi musicisti utilizzano l’intelligenza artificiale nel comporre e/o riprodurre musica, dall’altro si continua a scrivere utilizzando tecniche e strumenti che provengono dalla tradizione. Ma se avvicinarsi al primo modello può richiedere una cultura scientifica e una conoscenza informatica, l’altro tipo attinge alla grande tradizione del passato e al nostro più ampio bagaglio culturale.

La mia riflessione si concentra sull’ altrettanto affascinante esperienza del comporre artistico dell’uomo, spostando l’attenzione su alcune problematiche relative all’ascolto che, soprattutto nella musica classica contemporanea, continua a registrare una certa fatica nel rapporto tra il pubblico e il compositore chiamando altresì in causa variabili e problematiche non solo di carattere culturale.

Accade, talvolta, che si ascolti il melodramma per sensibilità o gusto personale e non di rado si manifesti un certo rifiuto a seguire un concerto rock, così come chi ascolta unicamente la cosiddetta musica leggera può trovare difficoltà a seguire un’opera di Wagner o una sinfonia di Šostakóvič. Se ciò può essere quasi giustificato da tutta una serie di motivazioni, accogliendo anche il noto de gustibus non est disputandum, il fenomeno risulta ancora più strano e complesso quando si considera una certa indifferenza nei confronti della musica classica contemporanea. Proprio perché “classica” dovrebbe chiamarsi musica senza tempo, alla stessa stregua della Divina Commedia o della bachiana Die Kunst der Fuge. Inoltre ho usato l’espressione “classica contemporanea” con lo scopo di indicare, nel mare magnum dei generi che pullulano nel nostro tempo, la musica occidentale che ha avuto un suo sviluppo storico e stilistico come in letteratura e/o nell’arte in generale.

Pur ammettendo che ci vuole impegno come, per esempio, quando si assiste ad una lezione, in realtà dovremmo aggiungere la stessa curiosità e attenzione che riserviamo quando siamo di fronte ad un’opera intellettuale contemporanea di vario genere e, tuttavia, anche questo non basta. Probabilmente servirebbe un passepartout che, di volta in volta, possa aprire a nuove percezioni e scoperte, allontanandoci così dalle preoccupazioni e dall’ansia di non riuscire ad accedere al nuovo. Provando a mettere una pulce nell’orecchio, l’invito è quello a non rinunciare a predisporsi al nuovo ma di indagare e cercare ciò che non è subito svelato. Ricordo che è possibile comprendere il nuovo, il contemporaneo, passando dall’antico.  Parafrasando Leibniz, non possiamo tener conto che se il contemporaneo è colmo del passato allo stesso tempo «è gravido dell’avvenire» tanto che alla stessa arte classica non le si può disconoscere la sua eterna modernità.  Ecco spiegarsi, pregiudizi a parte, del perché molti ascoltatori – musicisti compresi – sono distanti dalla musica contemporanea tanto quanto dalla musica antica e, viceversa, quanti cultori di quest’ultima non disdegnano quella contemporanea. Come in tutte le cose, c’è bisogno di un approccio pedagogico affinché ogni individuo possa ricevere tutto ciò che è necessario per la sua educazione all’ascolto e ben vengano contributi come quello apparso sulla Stampa (12 settembre 1983), a proposito del comporre negli Anni Ottanta C’è un nuovo Nono, Viene dal passato, (alludendo a Luigi Nono) poiché accendono un lumicino nell’oscurità profonda e misteriosa delle tenebre.

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